La Spagna del XV-XVI sec.
Giovanna di Castiglia “la Pazza”
Il tempo di Isabella di Castiglia, Federico II d’Aragona,
Filippo “il Bello”, Carlo V
1.
Prologo, I re cattolici
2.
Giovanna di Castiglia “La Pazza”; Il matrimonio di Giovanna; I passaggi della
successione; L’estromissione di Giovanna da parte del marito Filippo “Il Bello”;
L’estromissione di Giovanna da parte del padre Ferdinando II d’Aragona; L’estromissione
di Giovanna da parte del figlio Carlo V; La triste fine di Giovanna.
Le vicende del XIV-XV
sec. furono determinanti per favorire, nella penisola iberica, il processo di
aggregazione alla Castiglia ed all’Aragona dei regni che si erano via via
affrancati dalla dominazione araba.
Nel 1230, il re di
Castiglia, Ferdinando III “il Santo”, con il Tratado di Las Tercerias (1230) era riuscito ad annettersi il regno
di Leon e successivamente la Murcia (1236) e l’Andalusia (1246).
Nel XII-XIII sec., il
re d’Aragona, Alfonso II, ereditò la contea di Barcellona che comprendeva la
Catalogna, e nel 1238, Giacomo I acquisì
il regno di Valencia.
La fusione dei regni d’Aragona
e di Castiglia si avviò nel 1412 con l’avvento della dinastia dei Trastamara in
Aragona ed ebbe un sostanziale impulso col matrimonio di Ferdinando II d’Aragona
ed Isabella di Castiglia. Attraverso le vicende che verranno di seguito
illustrate, la definitiva formale unificazione si verificò con l’attribuzione
ereditaria delle due corone a Carlo di Gand (Carlo I di Spagna o Carlo V
imperatore del SRI). Tuttavia i regni di Castiglia e di Aragona, pur se
attribuiti allo stesso re, mantennero amministrazioni differenziate e, nel
1700, durante la guerra di successione spagnola si trovarono in
contrapposizione a sostenere rispettivamente le dinastie dei Borbone e degli
Asburgo. Prevalse la fazione appoggiata dalla Castiglia ed i Borbone, a seguito
del trattato di Rastadt, vennero riconosciuti regnanti di Spagna.
a.
I re cattolici
Giovanni II Fernandez
(1397-1479) Trastamara, re di Navarra e di Aragona, nel 1479, designò il figlio
Ferdinando II (1452-1516), a succedergli sul trono d’Aragona mentre destinò
alla figlia Eleonora, sposata a Gastone
IV di Foix, la Navarra che così cadde sotto l’influenza francese (per essere in
parte riconquistata da Ferdinando nel 1513). Ferdinando aveva sposato undici
anni prima la cugina Isabella, figlia del re di Castiglia, Giovanni II Enriquez
(1405-1454) Trastamara. Essi avevano pertanto riunito nel loro blasone, accanto
alle insegne di Castiglia ed Aragona, quelle delle antiche casate iberiche assorbite
e discendenti degli antichi re visigoti.
Isabella alla morte
del fratellastro Enrico IV, nel 1474, ereditò la corona del regno di Castiglia.
Con l’applicazione del contratto di matrimonio tra Ferdinando ed Isabella, si
era delineato, in prospettiva, il progetto di unificazione dinastica delle
corone di Aragona e di Castiglia che tuttavia mantennero governi separati,
ciascuno con la propria amministrazione e capitale, Barcellona e Valladolid
rispettivamente. I poteri di Ferdinando, per la diversa consistenza dei due
regni, risultavano però limitati rispetto a quelli di Isabella (reina proprietaria).
La Spagna al tempo di
Ferdinando II d’Aragona e di Isabella di Castiglia
Ferdinando, nel 1468,
era stato nominato re di Sicilia dal padre che l’aveva ricevuta dal fratello
Alfonso V “il Magnanimo” (1396-1458).
Nel 1481 Ferdinando,
sfruttando le sue attitudini militari e le doti diplomatiche, completò la reconquista dei territori musulmani (al-Andalus: dal visigoto Landahlauts/feudo) appartenenti alla
dinastia sultanale dei Nasridi di Granada. Dopo aver conquistato, nell’arco di
più di un decennio e con vari apporti fra cui quello dell’imperatore
Massimiliano I d’Asburgo (1459-1519), Malaga, Baza ed Almeria, nel gennaio del
1492, riuscì a provocare la capitolazione di Granada, una città fortificata le
cui roccaforti sistemate sulle cime dei monti erano inaccessibili se non ai
cavalli selvaggi degli agili cavalieri moreschi. Granada che veva ceduto per
fame a seguito di un lungo assedio, era divenuta sotto la dominazione delle
dinastie moresche degli Almoravidi e degli Almohadi la più bella città della
Spagna. Il sultano Boabdil, per evitare la distruzione ed il saccheggio della
città, si arrese e si ritirò per qualche tempo nel piccolo regno di Alpujarras
prima di raggiungere il Marocco, atto che segnò la fine della dominazione araba
della Spagna. La clausola del trattato di capitolazione che impegnava i sovrani
spagnoli al rispetto della libertà religiosa di tutti i non cristiani, ebrei e
musulmani, non venne rispettata. La città fu invasa dagli speculatori che
giungevano da ogni parte d’Europa per acquisire i suoi bei palazzi ed il regno
di Granada fu congiunto a quello di Castiglia che, assieme all’Aragona, diede
origine ad una grande formazione statale, amministrata dai due coniugi sovrani
e comprendente anche la Sicilia, le Baleari e la Sardegna. Quest’ultima era
stata attribuita da papa Bonifacio VIII (1297) in feudo agli aragonesi i quali
ne presero possesso nel1326. Alla caduta di Granada papa Innocenzo VIII, conferì
ai due sovrani l’ambitissimo titolo di Maestà cattolica, quale riconoscimento
per la cacciata degli “infedeli musulmani”.
Ferdinando
ed Isabella provvidero a consolidare i loro regni istituendo le Cortes, assemblee costituite dai rappresentanti
dei nobili, del clero e della borghesia cittadina con facoltà di proporre nuove leggi la cui
approvazione rimaneva esclusivo diritto del sovrano. Tuttavia fu la religione cattolica a costituire la
forza di aggregazione delle due entità statali e lo strumento su cui la coppia
reale, fin dal suo esordio, puntò per il consolidamento del regno. Infatti fin
dal 1478, Ferdinando ed Isabella erano riusciti a porre sotto la loro
giurisdizione il clero, una operazione sgradita al papato non solo per la
conseguente perdita di autorità ma soprattutto per il fatto che parte delle
rendite si fermavano nella capitale del regno, Toledo, anziché prendere la via
di Roma. Nel 1480 la devota cattolica, regina Isabella, introdusse in Castiglia
l’Inquisizione. Quattro anni dopo
Ferdinando fece altrettanto in Aragona, utilizzando l’apparato clericale sia
per estendere il controllo sui sudditi sia per realizzare i suoi progetti
intesi ad allontanare ebrei ed arabi dai propri domini.
Ferdinando II
d’Aragona ed Isabella di Castiglia
L’Inquisizione era una istituzione
promossa, nel XII sec., dalla Chiesa Cattolica per fronteggiare certe nascenti
eresie dei Catari e dei Valdesi. Il Concilio Lateranense (1215) ed il Concilio
di Tolosa (1229), ritenendo l’eresia religiosa una minaccia per l’ordine
costituito, avevano stabilito che spettava ai vescovi giudicare gli eretici la
cui pena sarebbe stata inflitta dagli Stati che si erano allineati alla Chiesa.
Nel 1231 papa Gregorio IX aveva sottratto l’Inquisizione al potere dei vescovi per
affidarla ad inquisitori permanenti dell’ordine domenicano. Inizialmente gli
inquisitori agirono individualmente quindi, nel 1235 nacque l’istituzione con
precisi e formali obiettivi di inquadramento unitario di attività e poteri di
ogni singolo inquisitore. Nel 1252, con la bolla Ad extirpanda, Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura.
L’Inquisizione,
dal tempo della sua istituzione, aveva già istituito processi con persecuzioni
e roghi (contro i Valdesi nel periodo 1209-1229; contro i Catari, 1244 e 1278; periodo
in cui furono mandati al rogo più di 400 fedeli per eretica malvagità; con la stessa motivazione e per apostasia, nel 1314, era stato
condannato al rogo Jaques de Molay, ultimo gran maestro dei Templari).
Ferdinando II, in una situazione in cui il Papato si vide indebolito per il
defilarsi dei suoi tradizionali alleati (la Repubblica di Venezia e la Francia
di Carlo VIII), utilizzò, in qualità re di Sicilia, il suo potere di protezione
sul Papato e la mediazione del vescovo di Valencia, Rodrigo Borgia, per istituire
l’Inquisizione in Spagna coll’intento di eliminare le forze che potevano
ostacolare il consolidamento di Aragona e di Castiglia al fine della fusione in
un unico Regno. Riuscì così ad ottenere il consenso di papa Sisto IV che, nel 1478,
emanò una Bolla (Exigit sinceras
devotionis affectus) con cui veniva istituita l’Inquisizione spagnola che venne
quindi sottratta (1483) a qualsiasi ingerenza papale. Con la nomina di padre
Tomas de Torquemada ad inquisitore generale per i regni di Castiglia ed
Aragona, Ferdinando ed Isabella, persuasi di servire la volontà di Dio, ne fecero
uno strumento personale di discriminazione volto al consolidamento dei loro
interessi.
I
primi ad essere oggetto di una fanatica persecuzione furono gli ebrei, quindi i
musulmani e poi i cristiani tiepidi o in odore di eresia, i visionari, gli
omosessuali ed altri in un accanito e spietato crescendo inquisitorio che non
si fermò di fronte a nessuna istanza e che si nascose sotto l’insegna della limpieza de sangre.
Gli
ebrei, cui già dal 1476 era stato imposto di portare un segno distintivo sugli
abiti e vietato di praticare la professione di maestro, medico ed architetto, occupavano
ruoli prestigiosi nell’amministrazione in quanto, colti e potenti. Essi gestivano
scuole, ospedali e mercati ed erano stati impiegati in passaggi determinanti del
collegamento fra i due regni. Successivamente l’attività della Santa
Inquisizione spagnola, con l’istituzione da parte dei sovrani del principio
della conformità religiosa, si diresse verso la loro espulsione con confisca dei
beni. I primi destinatari dell’attività inquisitoria furono i banchieri ebrei
che, depositari di una grande potenza economica, avevano prestato al padre di Ferdinando, Giovanni II, molti dei soldi
impiegati per stipulare l'alleanza e il matrimonio tra i destinatari dei due reami
spagnoli. Questi debiti si estinsero in gran parte con la condanna dei
creditori mentre il tesoro reale si accresceva con i beni confiscati alle
vittime.
Gli
ebrei, che in quel tempo rappresentavano 1/3 della popolazione, a seguito dell’imposizione
di sottomettersi al battesimo cristiano o lasciare il paese, divennero oggetto di
una feroce persecuzione con un numero
rilevante di processi e condanne al rogo (1492). La metà di essi (ebrei
Sefarditi) che non accettò di convertirsi al cristianesimo lasciò il paese, paralizzandone
le attività culturali e commerciali, e si dispersero in Portogallo, nel bacino
Mediterraneo (Marocco, Italia, paesi balcanici) e nell’Impero Ottomano dove
trovarono condizioni di maggior tolleranza religiosa. Quelli che accettarono forzatamente
di convertirsi (conversi) per poter
rimanere in Spagna (marranos: maiali)
in buona parte continuarono a praticare in segreto la propria religione
(cripto-giudaismo) ma furono sottoposti ad ogni genere di discriminazione
economica e sociale ed alla segregazione in ghetti (juderias).
L’azione
della Santa Inquisizione fu diretta ugualmente verso i musulmani di Spagna (moriscos) portatori di una cultura
artistica e scientifica molto più raffinata e seducente rispetto a quella
grossolana delle corti spagnole. Nel 1499 i sovrani ordinarono a tutti i
musulmani di abbracciare la religione cristiana causando rivolte iniziate nella
zona di Albacin ed Alpujarra. Queste, a seguito della crescita della pressione
fiscale e dei divieti miranti a cancellare le usanze legate alla cultura araba,
tra cui l’uso della lingua parlata e scritta, si intensificarono via via negli
anni successivi ed in egual misura si accentuò la repressione. Un fenomeno che
ebbe l’epilogo nel 1609 in cui la Spagna di Filippo III (1578-1621), benché
stremata dalle guerre, espulse oltre 300.000 musulmani che trovarono
sistemazione nelle coste del Nordafrica e nei territori dell’impero
ottomano causando in Spagna una pesante
crisi del settore agricolo, crisi che venne camuffata dalla immensa quantità di
preziosi che giungevano dal nuovo mondo.
La
scoperta dei nuovi territori, dopo la colonizzazione dell’arcipelago delle
Bahamas e di Portorico attuata da Colombo (1492) e finanziata dalla regina
Isabella e quella del navigatore portoghese Bartolomeo Diaz che aveva
oltrepassato il capo di Buona Speranza ed avviato l’esplorazione dell’oceano
Indiano (1488), indusse i sovrani di Castiglia e del Portogallo, la regina Isabella
e re Giovanni II, a sottoscrivere il trattato di Tordesillas (1494). Esso
prevedeva la spartizione del mondo al di fuori dell’Europa in un duopolio
esclusivo separato da una linea meridiana che passava per Capo Verde e
prevedeva l’estensione dell’impero spagnolo ad ovest e di quello portoghese ad
est.
Nel 1504, Ferdinando
II completò l’espansione del regno di Spagna con l’acquisizione del Regno di
Napoli (v. seguito). Intanto le
colonie spagnole d’oltremare, rappresentate dalle isole caraibiche conquistate
da Colombo (1492) si erano allargate con l’aggiunta (1519) dell’impero Azteco
(Florida, Cuba, Messico, Guatemala ed Honduras) e (1532) dell’impero Inca (Perù
e Cile), sottomessi rispettivamente da Hernan Cortés e da Francisco Pizzarro.
Giovanna di Castiglia
Dall’unione di
Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia nacquero cinque figli Isabella,
Giovanni, Giovanna, Maria e Caterina, rispettivamente nel 1470, 1478, 1479,
1482 e 1485. Essi crebbero in un ambiente di corte dominata dal clero che interferì
pesantemente sull’educazione dei rampolli regali, vietando loro anche i più
innocenti e formativi approcci quali la danza e la musica e demonizzando gli
agi, il lusso e gli abiti vistosi. In quegli anni l’inquisitore frate Tomas de
Torquemada, confessore dei sovrani, aveva particolare ascendente e notevole
influenza sulla coscienza reale ed in particolare sulla regina Isabella in
costante trasferimento da una città all’altra della Spagna, seguita dalla corte
e dagli apparati amministrativi che le consentivano il diretto governo dei suoi
domini e la riscossione dei tributi. I suoi continui spostamenti la portarono a
partorire i suoi figli in luoghi diversi (Duenas, Siviglia, Toledo, Cordova,
Alcalà de Henares) non per caso ma per una scelta volta ad accrescere la sua
popolarità, coinvolgendo la partecipazione dei suoi sudditi agli eventi più
significativi della vita. Per il suo terzo parto aveva scelto Toledo, città
vivace e colta che aveva conosciuto il dominio romano e quello visigoto prima di
diventare roccaforte moresca ed aver visto fiorire, dopo l’occupazione
cristiana, l’aggraziata e solare arte mudejar,
un ibrido fra forme orientali e stile occidentale il cui modello era rappresentato
dalla poderosa fortezza dell’alcazar dalle
quattro torri sovrastanti la pianura di Madrid. La nascita di Giovanna, che
aveva preso il nome della risoluta e battagliera nonna paterna, Giovanna
Enriquez, e dal padre aveva ereditato un leggero strabismo divergente
all’occhio sinistro, aveva deluso i genitori che speravano nella nascita di un
maschio poiché si era già proposto il problema della successione in quanto il
secondo figlio, Giovanni, mostrava grossi problemi fisici (balbuziente,
rachitico ed inappetente) mentre il primo dei numerosi figli illegittimi di Ferdinando,
Alfonso di Aragona, non poteva aspirare alla successione. Isabella,
profondamente cattolica, dotata di una operosa concretezza che anteponeva gli
affari di Stato a quelli coniugali e convinta dell’indissolubilità del
matrimonio, si era adattata ai comportamenti libertini del marito, impegnato in
lunghe campagne militari, nella convinzione che bastasse la fedeltà di uno dei
due coniugi per mantenere saldo il matrimonio. A tal fine, secondo il
suggerimento della suocera, era solita far dormire i figli nel suo letto per
allontanare ogni sospetto di tradimento.
La infanta Giovanna
trascorre la sua fanciullezza, in costante trasferimento al seguito della
battagliera e dispotica madre capace di primeggiare, in un mondo in cui la
donna rappresentava la parte emarginata e soggiogata della società, al punto da
essere raffigurata con una armatura da guerriero. Giovanna, pertanto, per lo
stile di vita cui venne costretta, non ebbe la possibilità di stabilire radici
in luoghi familiari né di trovare, nella famiglia e tra le persone del seguito,
quegli affetti e riferimenti indispensabili alla formazione del carattere,
soprattutto in quella fase evolutiva in cui gli istinti dei bambini sono
sottoposti al controllo della razionalità dell’adolescente. Il cupo ambiente di
corte, sottoposto al rigoroso condizionamento dei frati inquisitori, esercitò
sul suo carattere, istintivamente indipendente, una costrizione che represse la
sua volontà senza piegare il sentimento di ribellione. Fin da giovane,
obbligata a flagellare il suo corpo per invocare il perdono di Dio, si rivelò
insofferente a tali pratiche e mostrò di subirle come la pena più odiosa. Ciò malgrado
venne costantemente ripresa dalla ingombrante, passionale ed autorevole madre
che, insoddisfatta delle manifestazioni di intolleranza della figlia, tentava
puntigliosamente di correggerla. L’intento era quello di orientarla alla
pratica della docilità, conveniente ad una giovane destinata a diventare regina,
ed alla palese sottomissione ai voleri del marito, per la qualcosa voleva che
la figlia affinasse la capacità di indirizzarne le scelte, anche attraverso
intrighi di palazzo ove fosse stato necessario, assuefacendola al principio che
nell’interesse dello Stato tutto può rivelarsi lecito. Ma Giovanna, crescendo, diventava
sempre più scostante verso la servile solerzia delle dame che si aggiravano nella
severa corte materna e sempre più infastidita dai severi controlli dei frati e
dei prelati, arcigni censori delle cerimonie e manifestazioni di corte. Era poi
inorridita dai processi dell’Inquisizione, dai riti di condanna e dal crepitio
dei roghi delle pubbliche esecuzioni. In sostanza un quadro comportamentale che
rivelava un anticonformismo religioso ed una personalità ribelle inconsueti in
un tempo retrivo e soggiogato dall’Inquisizione. Da tutto ciò ella tentava di
fuggire alla ricerca di gradevoli alternative cercando di appartarsi per
giocare con le sue ancelle moresche o immergendosi nell’apprendimento delle
discipline cui era stata indirizzata, sacre scritture, storia e filosofia,
lingue, araldica e musica, dove si rivelava particolarmente abile da risultare
la preferita dagli istitutori.
Ferdinando ed
Isabella, che avevano pianificato il loro matrimonio in vista della creazione
della nazione spagnola, altrettanto efficacemente cercarono di impostare la loro politica estera
allacciando impostata legami con le grandi dinastie europee attraverso le
unioni matrimoniali dei figli. Nella strategia di mantenere sotto controllo
l’intera penisola iberica, avevano destinato la prima figlia Isabella al
matrimonio con Alfonso, erede al trono del Portogallo. Così, per assicurare il
libero approdo nei porti inglesi alle loro navi commerciali dirette verso i
porti del nord Europa era opportuno rinsaldare il legame con la corte
d’Inghilterra, venne concordato il matrimonio della figlia più giovane,
Caterina, con Arturo, destinato a succedere al sovrano inglese Enrico VII.
Giovanna rientrava in un progetto più ambizioso che riguardava il collegamento
con l’imperatore del SRI Massimiliano I d’Asburgo con cui i sovrani spagnoli erano
stati in rapporto per uno scambio di reciproci aiuti: Massimiliano aveva sedato
con l’apporto delle milizie spagnole la guerra civile esplosa in quel crogiolo
di diverse religioni e culture che erano le province dei Paesi Bassi ed i
sovrani spagnoli avevano completato la reconquista
con l’aiuto consistente dei lanzichenecchi (land-knecht:
servitori della patria) inviati da Massimiliano. Questi aveva sposato una delle
donne più ricche del continente, la granduchessa Maria di Borgogna, che a
seguito di moti rivoltosi verificatesi dopo la morte del padre Carlo di
Borgogna “il Temerario”, era stata imprigionata dai francesi di Luigi XI interessati
ad annettersi la Borgogna. Massimiliano I era intervenuto in suo soccorso e
dopo averla liberata l’aveva sposata, arricchendosi con una ingente dote che
comprendeva, oltre alla Borgogna, i ricchissimi territori di Fiandra, Artois e
Piccardia, Brabante, Lussemburgo, Olanda e Zelanda. Dalla loro unione erano
nati Francesco, morto in tenera età, Filippo “il Bello” (1478) e Margherita
(1480). Massimiliano e Ferdinando nel 1488, a Valladolid, avevano convenuto di
unire politicamente i loro grandi imperi per stringere in una morsa la potente
Francia, avversaria di entrambi. A tale scopo suggellarono l’accordo per il
duplice matrimonio dei rispettivi figli, Filippo e Margherita di Borgogna con Giovanna
e Giovanni di Castiglia.
b.
Il matrimonio di Giovanna
Giovanna aveva
accolto senza alcuna contrarietà l’annuncio del concordato di nozze con uno dei
principi ritenuto tra i più affascinanti d’Europa.
Nei Paesi Bassi dove
viveva Filippo di Borgogna, dopo la prematura morte della raffinata Maria di
Borgogna (1482) che aveva lasciato eredi i suoi due figli Filippo e Margherita,
da parte della nobiltà borgognona erano emerse tali ostilità rispetto alla reggenza
affidata al marito, imperatore Massimiliano, da costringere quest’ultimo a trasferire
il governo delle diciassette floride province dei Paesi Bassi alla efficiente
guida delle più importanti famiglie, che operarono in nome del figlio Filippo.
Questi, sottratto agli istitutori germanici dalla nonna materna, l’energica
granduchessa Margherita di York, era stato allevato a Gand ed istruito secondo
la cultura della Borgogna rivelandosi di carattere poco affidabile ma
ambizioso, arrogante, spregiudicato, poco interessato all’apprendimento e piuttosto
incline ad eludere le responsabilità per dedicarsi agli svaghi. Nel 1493, il
quindicenne Filippo, assunta con l’investitura popolare la sovranità della
Borgogna lasciata dal padre Massimiliano che era stato investito del potere
imperiale, stabilì la sua corte a Lavonio.
Il matrimonio per
procura fra Giovanna e Filippo di Borgogna e d’Asburgo, rappresentato dal
figlio illegittimo di Carlo il Temerario, Baldovino il bastardo, fu celebrato a
Valladolid nel gennaio 1495 in occasione della inaugurazione delle cortes ed in presenza di Massimiliano I.
La figlia di questi, Margherita d’Asburgo, sposò successivamente per procura
Giovanni successore alle corone di Castiglia e di Aragona.
Filippo d’Asburgo “il
Bello” e Giovanna di Castiglia “la Pazza”
Giovanna era
impaziente di lasciare la Spagna e raggiungere l’Olanda per sottrarsi al
soffocante ed opprimente condizionamento materno, raggiungere una corte in cui
riteneva di poter liberamente esprimere la sua personalità e condurre con se le
sue ancelle moresche, rifugio defilato del suo desiderio di serenità. Ella,
guidata dalla madre che la addestrava ai doveri di moglie ed ai comportamenti
di principessa in un paese che bisognava attrarre nell’orbita degli interessi
spagnoli, aveva predisposto i vestiti e gli arredi nuziali mentre il padre
Ferdinando faceva allestire una flotta di venti navi e numerose imbarcazioni di
scorta che, in partenza da Laredo, doveva condurre nelle Fiandre Giovanna e
portare in Spagna Margherita d’Asburgo per celebrare le nozze con Giovanni.
Giovanna, affiancata da dodici ancelle moresche e sessanta dame, era
accompagnata da un seguito di più di quattromila persone tra dignitari,
rappresentanti delle più nobili famiglie di Spagna ed equipaggio. La flotta
carica anche di mobili e suppellettili, salpò in agosto e, dopo una sosta di qualche
settimana nel porto inglese di Portland dove Giovanna aveva ricevuto la visita
del re e di nobili inglesi, giunse in settembre in un porto olandese. Da qui una
Giovanna, impacciata e frastornata dall’impatto con una gaiezza cui non era
abituata, venne condotta ad Anversa dove l’attendevano i rituali
festeggiamenti. Intanto l’equipaggio impegnato nel rimessaggio delle navi era
rimasto senza risorse e bloccato dall’inverno senza che Giovanna potesse
provvedere, non avendo ricevuto nulla dei pattuiti ventimila ducati di
appannaggio da parte di Filippo, impegnato altrove in rappresentanza del padre
e forse non informato dell’arrivo di Giovanna che incontrò successivamente a
Lier. Filippo, più basso della sposa, pochi denti e sorriso sgangherato, dal
passo incerto per un incidente di caccia, era fisicamente bello e vigoroso,
capelli biondi ed occhi celesti, accolse Giovanna con un abbraccio con cui,
d’impatto, le trasmise il calore della sua sensualità coltivata a contatto delle
compiacenti dame fiamminghe. Prima della celebrazione delle nozze i due sposi
si erano rifugiati per due giorni in un accogliente castello dove la giovane ed
inesperta Giovanna, rimasta inebriata dalla percezione di libertà e dal sottile
compiacimento dei sensi, incominciò a gustare quelle sensazioni coinvolgenti
che la portarono a divenire preda di una passione nei riguardi di Filippo che
innescò un sentimento di possesso, esternato successivamente con manifestazioni
di morboso attaccamento. Ella esibiva felice il suo amore verso l’attraente e
giovane marito tra gioiose feste, sfarzosi banchetti, ricchissimi vestiti ed
appariscenti gioielli e tanto più si sentiva lontana dai rumori di guerra, dal
terrore dell’Inquisizione, dal sentore dei roghi e dall’opprimente, tetra e
castigata corte spagnola tanto più sembrava esaltarsi.
Dopo il felice
impatto iniziale con i piaceri del matrimonio, la scoperta di un mondo di corte
splendente e del rapporto ardente e passionale con il marito, iniziarono per
Giovanna le prime delusioni. Ella inconsapevole ed inesperta era lontana dal
supporre che si sarebbe trovata irretita in una nuova prigionia altrettanto
opprimente di quella da cui aveva pensato di fuggire. Le prime contrarietà si materializzarono con l’estromissione di
tutto il personale spagnolo al seguito di Giovanna che, inviso per
l’atteggiamento di scostante diffidenza con cui si poneva di fronte a tutte le
fastose manifestazioni della piccante corte fiamminga, fu allontanato su
disposizione di Filippo che intendeva sottrarre la moglie al condizionamento
spagnolo. Giovanna che era riuscita a mantenere con se le ancelle moresche, fu
affiancata dalla nutrice di Filippo, Madame de Halevin, e da dame fiamminghe
che, pur agevolando il suo inserimento nella nuova lussuosa realtà e
contribuendo a far allontanare i rimorsi che i condizionamenti educativi le
inducevano per i nuovi comportamenti, di fatto la isolarono dall’influenza
della madre che continuava ad ammonirla inviandole messaggeri che ella finì con
il rifiutare di ricevere. Tuttavia la nuova maniera, travolgendo completamente i
canoni cui era stata assuefatta, le procurava costante disagio e palese
insicurezza e, come se un frammento del recente trascorso staccatosi dalla
Spagna entrasse dentro il suo animo, le sorgeva coinvolgente il timore di incorrere
in qualche orrendo peccato e la avvolgeva un turbamento tale da indurla a
rifiutare gli slanci amorosi del marito.
Intanto Filippo,
impegnato nei viaggi per le molte province aveva iniziato a non farsi seguire
da Giovanna che, in costante conflitto tra attrazione e ritegno e percossa dal
sospetto che il marito non esitasse a soddisfare altrove la sua vitalità,
manifestò i primi segni di un forte risentimento e di una morbosa gelosia.
c.
I passaggi della successione
Nel gennaio 1497
Margherita d’Asburgo (Margot), con la stessa flotta che aveva condotta Giovanna
nei Paesi Bassi, era partita per sposare, nell’aprile 1497, l’infante di Spagna
e principe delle Asturie, Giovanni, che spossato dal desiderio d’amore della
moglie, morì nell’ottobre dello stesso anno. Margot qualche mese dopo partorì
un bambino nato morto, sollevando per i re cattolici gravi problemi di
successione.
Filippo, considerata la mancanza di un erede
maschio delle corone di Castiglia ed Aragona, anticipò le mosse dei suoceri e
autonominò “principe delle Asturie”, titolo spettante unicamente all’erede al
trono di Castiglia. Ferdinando ed Isabella per eludere l’iniziativa del genero
Filippo, nominarono erede la figlia maggiore Isabella che, dopo la morte del
primo marito Alfonso, aveva sposato Emanuele di Braganza, successore sul trono
del Portogallo. La nomina non trovò il consenso delle cortes che attribuivano ai soli figli maschi il diritto di
successione. Il problema si risolse con la nascita del primo nipote dei re di
Spagna, Miguel, figlio di Isabella del Portogallo che morì mentre lo metteva al
mondo. Emanuele di Braganza, dopo la morte della moglie Isabella, ottenne di sposare la sorella minore di questa,
Maria, unica ancora non accasata.
Giovanna, in attesa
della nascita della prima figlia Eleonora (questa diverrà regina del Portogallo
a seguito delle nozze con Emanuele I e poi regina di Francia per le seconde
nozze con Francesco I di Valois-Angouleme) che si verificò nel novembre 1498,
oltre alle luttuose notizie che le pervenivano dalla Spagna, trovava,
nell’indifferenza del marito e nella solitudine cui era costretta dalla
mancanza di contatti con persone affidabili, fondati motivi per estraniarsi e
cadere progressivamente in una forma depressiva che la distoglievano dal
contesto familiare e sociale. La nascita della figlia Eleonora non fu accolta
favorevolmente da Filippo che, dopo un temporaneo avvicinamento affettivo alla
moglie, riprese più frequentemente a mantenersi lontano da lei, nella misura in
cui questa rendeva più evidente il suo disappunto. Ella, nel tentativo di
recuperarne l’affetto, si sottoponeva ai voleri del marito che, per sfuggire
alle manifestazioni di gelosia divenuti sempre più frequenti, la costringeva ad
una solitudine ancor più rigida e la oltraggiava con approcci irrispettosi in
cui il ricorso alla violenza ed a pubbliche offese per ottenere prestazioni
sessuali non erano infrequenti. La sensazione di essere divenuta passivo strumento
alla ricerca di un erede indusse Giovanna a trascurare la cura della persona e
ad appesantire la sua giovanile ed esile figura. Ed alla consapevolezza di non
poter vantare nei riguardi della madre una personale affermazione si
sovrapponeva il rimorso di non aver risposto alle attese di lei, considerazione
che accentuò il suo stato depressivo a cui si sovrapponevano frequenti
manifestazioni di isterismo.
Il frate Tommaso di
Matienzo, inviato dalla regina Isabella presso la figlia per recuperarla ai
suoi insegnamenti, non mancava di informare del malessere di Giovanna la corte
spagnola dove il re Ferdinando non disdegnava che si diffondesse la convinzione
che l’isterismo della figlia potesse renderla inidonea alla successione. Anche
se mancavano le valutazioni di segno opposto come quella dell’ambasciatore
inglese alla corte belga che riteneva Giovanna tanto equilibrata ed influente
da attribuirle il merito dei migliorati rapporti con la corte di Bruxelles.
Filippo si era
trasferito nella fortificata Gand con l’indifferente Giovanna in attesa di partorire
per la seconda volta. Nel febbraio del 1500, nacque il figlio Carlo, dal come
del nonno paterno Carlo “il Temerario”.
Il luglio successivo
la nascita di Carlo era morto il cuginetto Miguel, l’erede maschio destinato
alla successione. Il figlio di Giovanna, Carlo, diveniva quindi il nuovo
destinatario degli immensi domini dei re spagnoli i quali sollecitarono
l’arrivo in Spagna del nipote per potere essere presentato alle cortes di Castiglia e di Aragona.
Filippo, arciduca di Borgogna e destinato a succedere al padre Massimiliano in
qualità di sovrano d’Austria ed imperatore del Sacro romano impero, vedeva così
inaspettatamente pararsi la possibilità di impossessarsi dei domini spagnoli,
attraverso la successione che avrebbe coinvolto la moglie Giovanna ed il figlio
Carlo. Eventualità che concentrava su di lui l’attenzione di tutte le più
potenti corti europee.
Giovanna, in attesa
della terza figlia Isabella, nata nel luglio 1501 (questa diverrà regina di
Danimarca sposando Cristiano II di Oldenburg), nell’apprendere che sarebbe
divenuta regina di Spagna, si sentì investita di una nuova responsabilità nei
riguardi del suo paese d’origine che la rese più sospettosa nei riguardi delle
trame politiche del marito Filippo che nascostamente manteneva contatti tendenti
a privilegiare la Francia, nazione in competizione con la Spagna. Intreccio che
divenne motivo di animose discussioni fra i due che si trasformarono in
violente scenate allorché Giovanna apprese della nascosta trattativa condotta del
marito per concordare una promessa di nozze del figlio Carlo con Claudia, la
neonata figlia del re di Francia, Luigi XII. In questo contesto di ambiguità e
nel timore che si consolidassero altri approcci contrari agli interessi
spagnoli si colloca la decisione dei reali di Spagna di affrettare le nozze
della propria figlia più giovane Caterina con il promesso sposo, il principe di
Galles Arturo, a cui Filippo aveva tentato di proporre quale sposa la sorella
Margherita, vedova del cognato Giovanni di Castiglia.
Giovanna venne convocata
in Spagna dalla madre per assolvere a passaggi formali riguardanti la
successione ed alla fine del 1501 si mise in viaggio accompagnata dal marito e
dal consigliere inviato dai genitori, il vescovo di Cordova, don Giovanni de
Fonseca. Assorbita nel suo rango e funzione di principessa ereditaria di
Castiglia ed adeguandosi al fiero modello materno, Giovanna, nel corso
dell’attraversamento della Francia e dei contatti con i reali di Francia, si
infastidì per la sospettosa accondiscendenza del marito verso di essi ed assunse
di conseguenza un atteggiamento altezzoso che fu motivo di diverse inadempienze
protocollari.
All’arrivo in Spagna
i due principi furono accolti con familiarità ed onorati con splendidi festeggiamenti.
Giovanna fu riconosciuta legittima erede dalle cortes castigliana ed aragonese, da quest’ultima con la limitazione
che ove Ferdinando avesse avuto un altro figlio legittimo, su quest’ultimo si
sarebbe dovuto trasferire il privilegio ereditario. Per il resto il soggiorno
fu pieno di incomprensioni, sospetti e ripicche da ambo le parti. E Giovanna,
afflitta da una nuova gravidanza e dalla lontananza dei tre figli, addolorata
dalle precarie condizioni di salute della madre e dalla mancanza di sicuri
riferimenti e preoccupata dai disinvolti contatti del marito di cui temeva
restasse irretito dalle fazioni avverse ai genitori, viveva in uno stato ansia
e di irritazione che esprimeva con plateali aggressioni al marito. Tuttavia, al
momento del rientro nelle Fiandre, i genitori di Giovanna, senza sentire il suo
parere e nella convinzione che ella si sarebbe dovuta fermare nel paese dove
sarebbe diventata regina, convinsero Filippo a lasciare la moglie in Spagna
fino al prossimo parto. Giovanna che non aveva alcuna intenzione di lasciarlo partire
il marito senza di lei, accusò pesantemente il marito e visse con disperazione
il suo abbandono perché Giovanna che accusò pesantemente il marito per non
essersi opposto a tale richiesta e visse con disperazione il suo abbandono
perché, malgrado i rapporti sovente tempestosi, era più interessata alla
vicinanza del marito che agli affari di Stato. Giovanna, stressata per l’attesa
del quarto figlio, vedendo inascoltati i suoi desideri anche da parte dei suoi
genitori cadde in una profondo scoramento. Nel marzo 1503, la nascita del quarto
figlio, Ferdinando, peggiorò le condizioni psichiche di Giovanna che implorava
fosse messa in condizione di raggiungere il marito e rammentava alla madre, che
l’accusava di anteporre la vicinanza del marito a tutto, come anche essa in
gioventù fosse caduta in depressione per gelosia.
La regina Isabella da
tempo appariva sofferente per il malanno che l’aveva colpita nell’apparato
genitale e, conscia del suo precario stato di salute, aveva scelto il vescovo
di Toledo, il cardinale Francisco Jimenez de Cisneros, ad affiancarla nel
governo e a far apprendere a Giovanna il mestiere di regina. Isabella si era
quindi trasferita nell’alcazar di
Segovia conducendo con se il neonato nipote e la figlia le cui condizioni
psicofisiche erano peggiorate dopo il parto e che, rifiutando ogni spiegazione intesa
a motivare gli ostacoli alla sua partenza, si riteneva prigioniera. Da Segovia
Giovanna si spostò presso il castello della Mota presso Medina del Campo,
messole a disposizione dalla madre, dove la sollecitazione a rientrare col
figlioletto a Bruxelles, pervenutale dal marito, aveva contribuito a
restituirle un inatteso ottimismo. Giovanna aveva predisposto tutto per la
partenza ma Isabella, attraverso i suoi intermediari (i vecovi de Fonseca e de
Cisneros) con diverse motivazioni ed espedienti impedì la partenza della figlia.
In sostanza, malgrado la sua ardente volontà e le ripetute sollecitazioni del
marito e del figlio Carlo (aveva quattro anni) Giovanna fino al marzo 1504 non
riuscì a lasciare la Spagna. Desiderio che si poté realizzare solo quando
Isabella cedette di fronte allo stato di prostrazione e di smarrimento della
figlia e ponendo la condizione che ella lasciasse in Spagna il figlio
Ferdinando. Giovanna partì rompendo i rapporti con la madre e desiderosa di riabbracciare
il marito, ignara della cocente delusione che l’attendeva all’arrivo allorché
apprese che egli si era legato ad una bella e giovane dama. Il pettegolezzo,
accertato, divenne motivo di clamorosi, pubblici ed imbarazzanti, litigi a cui
Filippo reagì villanamente disponendo la segregazione della moglie e cercando
di accreditare come manifestazioni di disaggio mentale quelle che erano
tumultuose reazioni al disinteresse verso la sua persona ed alle sue opinioni.
All’emarginazione cui fu costretta si aggiunse il tormento per la sottrazione
dei primi tre figli, Eleonora, Carlo ed Isabella, inviati a Gand ed affidati
alle cure di madame de Halevin, cui era stato ordinato di allevarli secondo la
cultura fiamminga senza alcun riferimento a quella spagnola. Ed ai reali di
Spagna che, dettagliatamente informati, intervenivano con i loro ambasciatori
presso Filippo, questi rispondeva che le informazioni che giungevano loro erano
soltanto calunnie volte a metterlo in cattiva luce.
Isabella si era
ritirata per finire i suoi giorni a Medina del Campo, luogo di origine della
sua famiglia. Nell’ottobre del 1504 aveva redatto il suo testamento “Ordino e comando che erede universale di
tutti i miei regni (quelli di Castiglia, Leon, Granada) e terre (quelle d’oltre oceano) sia la mia illustrissima figlia Giovanna … erede e successore legittimo
che, alla mia morte, riceverà il titolo di regina. … Ordino inoltre che di mia figlia si innalzino gli stendardi e le
insegne con la solennità ed il fasto …. e che si tributi la medesima riverenza
e fedeltà e obbedienza all’illustrissimo principe Filippo mio caro ed amato
figlio”. Successivamente, informata dello stato di emarginazione in cui era
costretta la figlia in Belgio, Isabella aveva aggiunto che “..nel caso Giovanna si trovasse lontana dalla
Castiglia o impossibilitata a raggiungerla per una sua indisposizione”
fosse a governare in sua vece il marito Ferdinando che comunque riconobbe la
figlia “legittima proprietaria” di ogni bene che la regina le aveva trasmesso.
Isabella morì il 26
novembre 1504 e dispose di essere seppellita all’Alhambra di Granada.
d.
L’estromissione di Giovanna da parte del marito Filippo
“il Bello”
Subito dopo la morte
della regina Isabella sorse un aspro conflitto di attribuzione fra il proprio
marito, Ferdinando II d’Aragona, ed il marito della legittima erede Giovanna,
l’arciduca di Borgogna, Filippo “il Bello”. Questi, dal Belgio, si autoproclamò
re di Castiglia e come tale si comportava inviando ambasciatori a rappresentarlo.
Iniziativa che Ferdinando, sorretto dalle disposizioni testamentarie della moglie
che lo designava “reggente” in assenza della figlia, non poteva accettare. E
benché dagli ambienti più conservatori ed ostili ad ogni eventualità di
reggenza straniera ricevesse sollecitazioni ad assumere direttamente la corona,
egli si dichiarava soddisfatto di assumere la reggenza ed intenzionato a
difenderla, non trascurando abilmente di fare riferimento ad una “malattia”
della figlia. Stato “malattia” da tempo sussurrato e da nessuno accertato ma
sufficiente a sollevare nelle cortes
di Castiglia il timore della eventualità che un inesperto di affari spagnoli
quale era il marito di Giovanna, Filippo, potesse essere investito della reggenza
in presenza della moglie.
Filippo e Ferdinando,
ciascuno intenzionato ad assumere il potere ereditato da Giovanna
indipendentemente dal suo volere, cercavano vicendevolmente di destabilizzarsi.
Il primo legandosi ad ambienti spagnoli ostili al suocero a cui, anticipandolo in
iniziativa, aveva intimato di lasciare la Castiglia, dove Filippo con la moglie
avrebbero dovuto trovarsi per poter vantare il diritto di reggenza. Ma Filippo era
restio ad abbandonare il Belgio senza avere ricevuto la garanzia che la parte
preponderante del clero e l’alta nobiltà spagnola riconoscessero lui, e non
Ferdinando, reggente a nome di Giovanna. Ferdinando, da parte sua, agiva con
discrezione inviando in Belgio il suo discreto e fidato ambasciatore Lope de Conchillos
accompagnato dal vescovo de Fonseca per indurre la figlia Giovanna a firmare un
documento che gli riconoscesse il potere di reggenza e che Giovanna firmò, o
perché indotta dagli abili interlocutori o perché aveva assunto la convinzione
che il padre, meglio del marito, avrebbe potuto curare gli interessi della sua
nazione d’origine. Tuttavia il documento inviato in Spagna con un messaggero
venne occasionalmente intercettato da Filippo che precluse della moglie ogni contatto
coll’esterno e l’arresto di tutti gli spagnoli presenti nella corte belga.
Condizione a cui Giovanna reagì pesantemente nei rapporti col marito ed
altrettanto contro il padre allorché venne a conoscenza del tentativo di
quest’ultimo di assumere la reggenza sfruttando la sua presunta “malattia”
della figlia. In questa occasione ella non mancò di far pervenire (maggio 1405)
in Spagna un messaggio dettato, come d’abitudine, al suo segretario in cui
affermava “Dato che in Spagna mi
considerano priva di senno, sarebbe opportuno che si rivolgessero a me per
sapere se è vero. … Evidentemente c’è qualcuno che se ne serve come pretesto
per governare i nostri regni”. Nello stesso messaggio Giovanna attribuiva
la sua presunta “malattia” alla gelosia che, in gioventù, aveva angustiato
anche sua madre che “poi guarì, come
piacerà a Dio far guarire anche me”. Non fu difficile a Ferdinando gettare
ombre sull’attendibilità del messaggio sostenendo che era stato elaborato da
Filippo. Intanto Ferdinando, al fine di avere un erede maschio, cercava una
nuova moglie che trovò in Germana di Foix, una donna brutta ed obesa ma nipote
del re di Francia, Luigi XII, con cui Ferdinando aveva da anni comuni ma
contrastanti interessi. Il contratto di matrimonio che prevedeva il versamento
a Luigi XII di una forte somma, era soprattutto volto a bilanciare il rapporto
preferenziale che quest’ultimo manteneva con il genero Filippo.
Ferdinando II
d’Aragona, benché cugino del re di Napoli, Federico I, aveva pensato alla
possibilità di inglobare nella corona d’Aragona il regno di Napoli, che attraversava
un periodo di particolare debolezza. Analogo interesse nutriva il re francese
Luigi XII che dopo aver conquistato il Ducato di Milano era interessato a
procurarsi accessi nel centro del Mediterraneo. Con un accordo segreto (Accordo
di Granada, 1500) i due sovrani dichiararono deposto Federico I e
concordarono la spartizione del Regno di Napoli: la Campania e l’Abruzzo erano
attribuiti a Luigi XII, mentre Calabria, Basilicata e Puglia a Ferdinando II. Luigi
XII si insediò a Napoli ma successivamente tra i due contraenti l’accordo
intervennero dissidi che sfociarono in una guerra. La Spagna, mossa dai suoi
interessi nella già acquisita Sicilia e dal desiderio di potenziare il
controllo del Mediterraneo, non poteva tollerare la presenza della Francia a
Napoli. Le forze francesi in Italia, prive di rifornimento impedito dal
controllo spagnolo delle vie marittime, dopo circa due anni di resistenza,
furono sconfitte presso il Garigliano (1503). In base ad un nuovo accordo (Trattato
di Lione, 1504), i francesi si stanziarono a Milano e Ferdinando II si
impossessò anche del Regno di Napoli (divenendo re con il nome di Ferdinando
III di Napoli) che collegò alla corona di Aragona ed amministrò attraverso
viceré.
Il matrimonio di
Ferdinando con la nipote del re di Francia aveva messo in difficoltà Filippo
che tentò allora di riconquistare la fiducia della moglie. Ma Giovanna,
tormentata e confusa dalle contrapposte sollecitazioni del padre e del marito, ma
consapevole del proprio ruolo e decisa a non farsi sottomettere aveva maturato
un atteggiamento diffidente verso entrambi. Quello verso il padre, di cui non
aveva avuto modo di valutare direttamente il sentimento, era più sfumato in
quanto il radicamento alla discendenza dinastica, la rendeva restia ad assumere
qualsiasi iniziativa contraria alle prerogative del padre. Quello verso il
marito, sovrapposto all’istintivo rifiuto verso tutto l’ambiente fiammingo in
cui era costretta, la indusse a strappare tutta la documentazione che il marito
le aveva sottoposto al fine di avvallare la sua reggenza.
Nel settembre 1505,
Giovanna partorì per la quinta volta mettendo al mondo Maria (questa diverrà
regina d’Ungheria e Boemia a seguito del matrimonio con Luigi II).
Filippo, incerto sulle
iniziative da assumere, subiva opposte sollecitazioni e mentre i mercanti
interessati a continuare indisturbati i loro ricchi traffici lo sollecitavano ad insediarsi in Spagna la nobiltà fiamminga lo
tratteneva timorosa che egli potesse incappare in qualche agguato. Alfine
Filippo decise di recarsi in Spagna, iniziativa per la quale era indispensabile
condurre con se la moglie. Preso atto del rifiuto da parte del re di Francia di
consentirgli l’attraversamento dei suoi territori, egli dovette predisporre una
imponente flotta di sessanta navi su cui imbarcò un contingente puntualmente
armato di duemila lanzichenecchi per contrastare le paventate bellicose
intenzioni di Ferdinando.
Nel corso di tutto il
viaggio, iniziato nel gennaio 1506, Giovanna assunse un atteggiamento impassibile
di fronte alle avversità che la navigazione invernale produceva e risoluto sia nei
riguardi della corte inglese che l’aveva ospitata durante lo scalo in
Inghilterra che verso quella fiamminga che l’accompagnava. Tre episodi che sono
significativi del suo sentimento del suo orgoglio e della sua determinazione: nel
corso di una furibonda tempesta in cui era incappata la flotta, Giovanna ebbe
modo di dimostrare il suo attaccamento al marito allorché questi, rimasto privo
di sensi a seguito di un colpo subito per lo sbandamento della nave, ricevette
dalla moglie istintive ed amorevoli cure; durante la sosta in Inghilterra, a
Windsor, ella era apparsa elegante e regale ed, intuendo che il marito aveva scambiato
con il re Enrico VII intese avverse al padre, aveva assunto un atteggiamento di
distacco e disapprovazione; prima dello sbarco in Spagna, Giovanna, accortasi
che il marito Filippo aveva fatto imbarcare di nascosto una quarantina di dame
fiamminghe che avrebbero dovuto scortarla e soprattutto isolarla, si rifiutò di
mettere piede a terra fino a quando le dame non vennero rispedite in Olanda. Nel
corso del soggiorno in Inghilterra Giovanna incontrò la sorella minore Caterina
che, vedova del principe di Galles, Arturo, e promessa al cognato e successore
Enrico VIII che la sposò dopo anni per quindi ripudiarla, viveva emarginata e
senza appannaggi. Nulla fece o poté fare in sostegno della sorella.
All’arrivo in Spagna
Filippo, volle evitare l’approdo programmato a Loredo, dove la flotta era
attesa dalla più importante nobiltà spagnola convocata da Ferdinando, per
approdare a fine aprile nel porto di La Coruna. Qui Giovanna, sfoggiando il
lutto per la scomparsa della madre, venne accolta e festeggiata ma tradì le
attese delle autorità rifiutando di confermare i privilegi di cui godevano,
almeno fino a quando non si fosse consultata con il padre. Alle sue spalle
intanto di svolgeva da parte dei vari potentati un gioco di posizionamento a
favore di uno dei due aspiranti alla reggenza e Filippo reaccoglieva un
crescente consenso mentre Ferdinando pagava il rancore dei castigliani che lo
detestavano fin da quando era in vita la loro amata regina Isabella ed ancor
più ora per averla così velocemente dimenticata per contrarre un nuovo
matrimonio. Ferdinando, rendendosi conto di doversi fronteggiare con un
contendente deciso e fortemente sostenuto da una autorevole fazione castigliana,
tentò di proporre un governo a tre (Giovanna, Ferdinando e Filippo), sdegnosamente
respinto da Filippo che tuttavia accettò di incontrarlo a Villafafila. Era il
26 giugno e Filippo, per non nascondere le sue bellicose intenzioni, si
presentò accompagnato dalle sue armate e dagli alleati castigliani che lo
avevano militarmente e finanziariamente sostenuto e che, nell’occasione,
cercavano di nascondere il loro imbarazzo nei riguardi Ferdinando che li
accolse un sarcasmo. Questi, scaltramente presentatosi accompagnato soltanto da
un piccolo drappello di dignitari, cercò di stabilire diplomaticamente un
rapporto familiare con il genero accogliendo con un “carissimo figlio” malgrado egli venisse a contendergli quella
Castiglia per il cui potenziamento aveva lungamente combattuto. I due si
appartarono in una chiesa dove concordarono un documento in cui Ferdinando
riconosceva la reggenza della Castiglia a Filippo che aveva preteso di inserire
nel documento un passaggio con cui si arrogava il potere di governare in quanto
la moglie non era in condizioni di farlo: “Conviene
sapere come la serenissima regina, nostra moglie, in nessun modo si vuole
occupare né intendere in nessun genere di governo. E che anche se volesse
farlo, date le sue malattie e passioni, che qui non vengono menzionate per
correttezza, questo significherebbe la totale distruzione e perdita di questi
regni”. Gli eventi costrinsero Ferdinando a convenire ma subito dopo non
mancò di seminare discredito verso gli Asburgo informando tutte le corti di
Europa di un accordo strappato con la forza. Quindi parti per visitare il suo regno
di Napoli.
Giovanna incinta per
la sesta volta si mostrava agile e reattiva e, nell’apprendere dell’accordo,
manifestò furente il suo disappunto lanciando minacce di morte verso tutti i
notabili spagnoli sostenitori del marito che, sottilmente, le fece notare come
nemmeno il padre avesse tenuto in alcun conto le sue prerogative. Ella avrebbe
voluto incontrare il padre a cui cercava di recapitare missive immancabilmente intercettate
e recapitate a Filippo che le precludeva ogni possibilità di contatto. Egli
aveva convocato le cortes a
Valladolid per ricevere l’investitura e far dichiarar Giovanna incapace di
intendere onde aver la possibilità di rinchiuderla in un castello. Eventualità
non osteggiata dal vescovo Jimenez de Cisneros, il consigliere della regina
Isabella che aveva abbracciato gli interessi di Filippo, ritenendo questa
scelta la più idonea a conferire maggior stabilità alla Castiglia. Intanto si
diffondevano voci che, tendenti a descrivere Giovanna non pazza ma segregata,
venivano accolte da nobili spagnoli, tra cui Pedro Lopez de Padilla, pronti a
minacciare azioni per liberare Giovanna. A Filippo era stato sconsigliato di
negare alle cortes la presenza di
Giovanna che, vestita di nero, era apparsa in tutta la sua regalità e, pur se
si sforzava per apparire disinvolta, tradita un lieve nervosismo. Le cortes avevano giurato fedeltà alla “regina Giovanna, nostra signora naturale”
ed al suo sposo, riconoscendo “legittimo
successore il principe Carlo che, alla maggiore età avrebbe governato insieme
con la madre fino alla fine della vita di quest’ultima”. Filippo, preso
atto della delibera delle cortes,
cercò di consolidare il potere affidando a suoi fedeli le maggiori
responsabilità ed il comando delle posizioni strategiche mentre Giovanna era
fermamente decisa a non permettere che i fiamminghi governassero sul regno di
Castiglia. Il 7 settembre 1506, allorché il corteo regale di Giovanna e Filippo
era davanti alle mura di Burgos in procinto di entrare attraverso la porta
principale, Giovanna intimò di posizionare davanti alla sua mula bianca e non
davanti al marito lo stendardo rosso di Castiglia ed entrò per prima in una
città stremata da recenti pestilenze e spaventata dalle aggressioni delle
truppe fiamminghe. Giovanna scelse di risiedere nell’antico palazzo che aveva
ospitato la madre nelle sue soste a Burgos ed a quel tempo abitato dal cognato
Pedro Hernandez de Velasco, marito della sorellastra, illegittima del padre.
Giovanna viveva circondata da guardie che praticamente la tenevano prigioniera.
Il marito risiedeva
altrove ed, intuendo l’ambiente a lui ostile e favorevole alla moglie, si
muoveva con prudenza e scortato. Il 14 settembre dopo aver trascorso una serata
allegra, aveva voluto partecipare ad una partita di pallone da cui ne era
uscito spossato e perdente. Nei giorni successivi Filippo accusò vari disturbi
e le sue condizioni peggioravano vistosamente per cui fu avvertita Giovanna che
dispose di portarlo a palazzo ed, accantonando tutto quanto politicamente la
divideva da lui, lo assistette amorevolmente isolandolo nel timore che potesse
essere avvelenarlo. Già giravano voci in tal senso e qualcuno ne rivendicava la
paternità dell’iniziativa mentre i fiamminghi indirizzavano i loro sospetti su
Giovanna. Questa, senza mai abbandonare il marito, convocò i più stimati
medici, le cui pratiche non servirono a migliorare le condizioni dell’infermo.
I partigiani di Ferdinando intanto avevano posto sotto assedio la città
mandando in confusione i fiamminghi che smisero il loro atteggiamento da
invasori per cercare di impossessarsi di quanto più potevano e lasciare la
Spagna frettolosamente. Si delineava il pericolo di guerra civile ed i nobili
sostenitori delle due parti si incontrarono, il 24 settembre, per concordare
che nessuno avrebbe tentato di imprigionare la regina ed il figlio Ferdinando,
né di condizionare la sua volontà. Essi, concordi nello scongiurare una
invasione straniera, si accordarono sull’amministrazione degli affari correnti
affidando la reggenza a Jimenez de Cisneros per prevenire qualche eventuale
iniziativa dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo. Questi, informato delle
condizioni del figlio, avrebbe potuto rivendicare per se la reggenza a nome del
nipote Carlo, il figlio maggiore di Filippo e Giovanna. Il figlio minore
Ferdinando, nato in Spagna, era stato nascosto in via precauzionale a
Valladolid. Il 25 settembre Filippo morì (peste o avvelenamento?) dopo aver
dato disposizione di essere seppellito a Granada, accanto alla suocera. Egli
aveva mantenuto solo per pochi mesi un potere che, attraverso intermediari come
Juan Manuel, era da lontano indirizzato dal padre Massimiliano.
Giovanna pianse il
marito accusando il colpo e mostrando accanto alle manifestazioni d’amore e di
dolore un disperato isterismo che sconcertò i presenti. La salma di Filippo era
stata frettolosamente imbalsamata e rinchiusa in una cassa di piombo inserita
in una di legno. Dopo la frettolosa cerimonia funebre Giovanna diede disposizione
di non inumare la salma che ella avrebbe accompagnato a Granada dopo la nascita
della creatura che teneva in grembo e l’arrivo del padre, cui erano stati
inviati messaggeri a Napoli per informarlo degli eventi.
Un cronista fiammingo
scriveva di Giovanna “.. senza dubbio era
buona, amorevole, degna di essere amata dall’uomo migliore del mondo; mentre
l’uomo più bello e gentile e perfetto del mondo sarebbe dovuto essere felice di
amarla perché la regina era la più bella ed affascinante signora che si potesse
immaginare. E però, mentre da quel corpo mirabile nascevano figli belli,
gentili, intelligenti, nella sua mente entrava il tarlo malefico della gelosia
tanto forte da offuscarle per sempre il pensiero e ridurre una così gentile,
giovane e bella creatura schiava di un perpetuo delirio amoroso e di una
inestinguibile collera che in tre anni l’avevano condotta completamente fuori
di se ... In verità quella dolorosa
passione non aveva senso: La giovane moglie non aveva infatti saputo accettare
che il principe gentile, giovane, bello, vivesse circondato da persone che
continuamente gli offrivano donne e tutti gli altri piaceri della carne. …”
(Viaggio dei reali arciduchi in Spagna
nel 1506). Pedro de Torres, d’altro canto annotava “ .. è morto don Filippo. Dicono che fosse un
gran mangiatore e bevitore, dedito ad amorazzi ... che tenesse sua moglie in
prigionia, che non permettesse a nessuno di vederla e non le faceva né vedere
né firmare carte di governo ..” (Appuntamientos).
Nei giorni che
seguirono Giovanna mostro tutta la sua impreparazione a gestire una fase così
delicata. Da quando aveva lasciato la Spagna per il matrimonio ella era stata
sempre tenuta isolata, lontana dalle decisioni e sovente disinformata. I
ripetuti e contrapposti tentativi di condizionamento subiti sia da parte dei
genitori, attraverso loro inviati, sia da parte del marito, attraverso un
rigoroso controllo delle sue attività, l’avevano resa particolarmente
diffidente. Mentre nessuna delle persone che le era stata messa accanto, a
parte le ancelle moresche da lei scelte, aveva riscosso la sua fiducia. In quel
frangente Giovanna, sentendosi circondata da personaggi sleali ed in attesa
dell’arrivo del padre, provvide a revocare quanto il marito aveva disposto in
favore dei suoi fedeli, espellendo i fiamminghi dal consiglio di reggenza e
sospendendo le retribuzioni all’entourage spagnolo di Filippo. Intanto non
convinta dell’affidabilità di Jimenez de Cisneros si rifiutò di firmare gli
atti che le sottoponeva, tra cui quelli per la normale amministrazione, la
convocazione delle cortes e la nomina
di vescovi che non conosceva. Ed, alla obiezione che la salute spirituale della
città, priva dei suoi pastori, sarebbe stata compromessa, aveva ribattuto che
la salute spirituale sarebbe stata maggiormente compromessa dalla nomina di
personaggi indegni. Ella così si dibatteva fra opposte sollecitazioni mentre
uno sconcertante episodio contribuì ad alimentare il mormorio sui suoi strani
comportamenti: dopo circa un mese Giovanna andò a visitare la salma del marito
e dopo aver ordinato di aprire le casse che la contenevano, nella penombra
della certosa di Miraflores cominciò a rovistare nel feretro fatiscente del
marito che invocava e carezzava teneramente fino a che, dopo aver emesso un
urlo nel constatare come esso fosse stato straziato dalle pratiche di
imbalsamazione, fu, in uno stato di incoscienza, strappata a forza dalla salma.
Dopo di che si dilatarono, opportunamente veicolate, le voci dei suoi strani
comportamenti.
Gli ambienti di corte
riferivano di una Giovanna che, solitamente austera e riservata, in quel periodo
era inquieta ed agitata, si aggirava discinta e si comportava come se avesse
perso ogni contatto con la realtà. Molti sostenevano la sua pazzia mentre altri
puntavano il loro apprezzamento citando la sua intelligenza “superiore a quella della madre Isabella”.
Giovanna convocò gli antichi consiglieri della madre ed estromise il reggente
de Cisneros, creando una situazione caotica in cui prendevano forma, per
contrapporsi, fazioni che si riconoscevano o nei nobili andalusi o in Jimenez
de Cisneros o in Juan Manuel, sostenitori rispettivamente di Giovanna, del
padre Ferdinando e del suocero Massimiliano d’Asburgo. La fazione solidale con
quest’ultimo premeva per assicurare agli Asburgo la reggenza in nome del
giovane Carlo mentre le altre due fazioni, richiamandosi agli interessi della
nazione spagnola, solidarizzavano per contrastare le mire degli Asburgo. Una
situazione di totale anarchica in cui i potenti di Spagna in contrasto con la
monarchia si appropriavano di feudi su cui ritenevano di vantare diritti e le
nazioni limitrofe riflettevano su progetti di aggressione ad una nazione in
preda al disordine, indifesa e saccheggiata dai fiamminghi in fuga.
Giovanna, titolare di
una prestigiosa corona, era divenuta presso tutte le corti d’Europa una
ambitissima vedova. Molti erano i suoi pretendenti ma ella viveva nell’attesa
dell’arrivo del padre nella convinzione che l’avrebbe guidata ad assumere le
responsabilità di regina mentre cullava il desiderio di accompagnare la salma
del marito per la tumulazione a Granada.
e.
L’estromissione di Giovanna da parte del padre Ferdinando
II d’Aragona
Alla fine di dicembre
Giovanna, in prossimità dell’attesa del sesto figlio, per sottrarsi
all’eventualità di essere oggetto di un rapimento, assieme al figlioletto
Ferdinando aveva lasciato nottetempo Burgos per sostare a Torquemada, sulla
strada diretta a Valladolid. L’accompagnava un piccolo corteo di cui, oltre
alla servitù, facevano parte il segretario Juan Lopez ed un emissario del padre,
Luis Mosen Ferrer, incaricato di informarlo dettagliatamente degli eventi. Si
portava dietro il feretro del marito a cui Giovanna non permetteva si
avvicinasse alcuna donna e lo faceva custodire da guardie armate da lei
personalmente scelte.
Durante la sosta a
Torquemada, Giovanna partorì (14 gennaio 1507) la sua ultima figlia Caterina.
Quindi per sfuggire al dilagare della peste la corte di Giovanna si spostò nel
vicino borgo di Hornillos dove ella, afflitta da mancanza di risorse ma rimessasi
fisicamente in forma e sorprendentemente serena e lucida, riceveva numerosi
nobili spagnoli e restava in attesa dell’arrivo del padre Ferdinando. Questi in
luglio era sbarcato in Spagna e, col denaro che raccoglieva fra i suoi
sostenitori, assemblava un contingente militare coll’intento di cacciare Juan
Manuel, l’uomo di fiducia di Massimiliano che controllava il territorio di
Burgos. Alla fine di agosto a Tortoles, Ferdinando incontrò la figlia che
salutò con un affettuosissimo abbraccio e si mosse con l’intento di strapparle la
dichiarazione in cui ella rinunciava ad esercitare il ruolo di regina. Nei
giorni successivi Ferdinando incontrò molti tra i più influenti nobili di
Spagna senza mai far partecipare la figlia ai colloqui. Osservando ciò Giovanna
si rese amaramente conto che anche la fiducia riposta nel padre era infondata.
Nessuno le parlava ed ella si sentiva emarginata come al tempo in cui, presso
la corte fiamminga, aveva iniziato la vana battaglia per l’affermazione delle
sue prerogative. Ferdinando riteneva che finalmente fosse giunto il momento di
governare in prima persona la Castiglia senza dover più subire la supremazia
della moglie Isabella. Un momento che Ferdinando non intendeva lasciarsi
sfuggire e pertanto era deciso ad assumere ogni iniziativa. Egli si era reso
conto che mai avrebbe convinto la figlia in cui riviveva la proverbiale
fierezza materna, a convocare le cortes
per formalizzare la sua rinuncia a regnare, per cui al fine di predisporsi le motivazioni
per sostituirla, inviò presso tutte le corti d’Europa messaggeri per informarle
che “Dona Juana es loca”.
Giovanna, con i figli
Ferdinando e Caterina e la bara del marito al seguito, si era trasferita in una
modestissima casa in un villaggio poverissimo, Arcos dove si fermò per un
intero anno. Ferdinando che andava a trovarla per farle firmare iniziative
legislative le aveva messo accanto persone fidate per controllarla e riferirgli
eventuali stranezze nel suo comportamento. Nel luglio del 1508, Giovanna,
avvertita della sparizione del figlio Ferdinando, pensò che le fosse stato
sottratto dai fiamminghi e temendo di non rivederlo più come le stava accadendo
per quattro dei suoi figli, cadde in una profonda depressione esternando le abituali
manifestazioni di quelle evenienze, aggravate dal decadimento fisico causato
dalle ravvicinate gravidanze. Digiunava per poi ingolfarsi di tutto quanto
trovava in giro, passava le notti insonni a girare per casa prima di crollare
per terra sfinita, non curava la persona ed andava incontro a crisi febbrili.
Allorché la informarono che il bambino era stato portato via dal nonno comprese
che il fine era di costringerla ad assecondare i suoi progetti. E quando
Ferdinando seppe che la figlia, protraendosi nelle attuali condizioni, sarebbe potuta
morire, egli si precipitò a riportarle il bambino, convinto non tanto dal sentimento umano e paterno ma dal
timore che la morte della figlia avrebbe definitivamente spostato il diritto di
reggenza della Castiglia verso un Asburgo che lo avrebbe esercitato per conto
del legittimo destinatario, il giovane nipote Carlo, figlio di Giovanna.
Ferdinando, nel febbraio 1509, ricondusse il bambino presso la figlia che,
avendo trovato in miserevoli condizioni di prostrazione: incapace di parlare,
in preda a tremolii e movimenti ripetitivi, decise di trasferire presso il
castello di Tordesillas, un antico borgo sede di nobili famiglie e nodo
stradale per le più importanti città spagnole. Per indurla ad accettare il
trasferimento le fece credere che quella fosse una tappa intermedia verso Granada
dove ella intendeva recarsi per tumulare la salma del marito. In quello stesso
gelido mese di febbraio accompagnò a Tordesillas Giovanna con la piccola
Caterina affidata ad una dama, Maria de Ulloa, e con al seguito il feretro di
Filippo che venne deposto nel convento di Santa Clara. Tenne con se il nipote
Ferdinando che intendeva addestrare alle funzioni di re.
Giovanna ed il
seguito furono sistemati in una abitazione in cui solo la camera a lei destinata
era stata giustamente arredata mentre tutto il resto rimase disadorno. Ferdinando
affidò il controllo della residenza ad un manipolo di guardie e la gestione
della stessa al fedele servitore Luis Ferrer a cui aveva intimato di impedire a
Giovanna ogni contatto con l’esterno ed ogni rapporto con i figli lontani.
Giovanna si accorse della sua condizione di prigioniera non potendo uscire né
per recarsi al convento delle clarisse né al santuario di Nostra Signora de la
Pena.
Re Ferdinando, dopo
aver avviato una guerra in Nordafrica per la conquista di Orano, Tunisi e Tripoli
(1408-1511) ed aver acquisito ed annesso alla corona aragonese (1513) la bassa
Navarra (a sud dei Pirenei; v. prologo)
aveva emarginato le frange andaluse sostenitrici della figlia Giovanna.
Dopo la perdita del
figlio appena nato dalla seconda moglie (1509), Ferdinando aveva perso le
residue speranze di avere, secondo il pronunciamento della cortes castigliana, un diretto successore maschio sul regno di
Castiglia ed era caduto in un periodo di disinteresse e di apatia che lo costrinse
a confermare la reggenza della i Castiglia ad Jimenez de Cisneros e nominare
per l’Aragona l figlio naturale Alfonso, vescovo di Saragozza. Egli aveva
coltivato l’intenzione di affidare la reggenza dei due regni al nipote
Ferdinando in assenza del fratello Carlo ma, paventando di sollevare fra i due un
contrasto che avrebbe potuto far sorgere una guerra civile, desistette
dall’idea. Lasciò la disposizione di essere seppellito a Granada accanto alla
moglie Isabella, senza fare alcuna menzione per Giovanna se quella di non
informarla della sua morte. All’età di sessantaquattro anni morì il 23 gennaio
del 1516.
La regina di
Castiglia, Giovanna, riceveva così in eredità dal padre i regni di Aragona, di
Sicilia e di Napoli. Una eredità su cui si stendevano le pretese del figlio
maggiore Carlo mentre a Bruxelles, durante la celebrazione delle esequie di
Ferdinando, si acclamava a “donna
Giovanna e suo figlio don Carlo, re cattolici”. E quando di ciò ne fu
informata, Giovanna, ella precisò “Errato,
Carlo è solamente un erede. La regina sono io”.
Dopo la scomparsa di
Ferdinando, Jimenez de Cisneros, valoroso teologo, uomo rigoroso, onesto
amministratore e fedele servitore del suo paese dove aveva promosso diverse
opere tra cui la fondazione della prestigiosa Università di Alcalà de Henares,
aveva allontanato il custode di Giovanna, Luis Ferrer nominato da Ferdinando, per
sostituirlo con il governatore Hernan de Estrada, prevenendo il tentativo di
Carlo di Gand di nominare un fiammingo. Estrada provvide ad impreziosire e
rendere confortevole il castello abitato da Giovanna che fu arredato con i
tanti raffinati e preziosi mobili ed arredi di Giovanna a cui vennero anche restituiti
i preziosi gioielli del suo vasto corredo che era stato consegnato al Ferrer e
mai utilizzato.
Alfine Giovanna poté utilizzare
la parte migliore del castello nobilmente restaurato e ristabilire il personale
ed intimo rapporto con la figlia Caterina, senza più la limitazione di presenze
estranee, ed ebbe possibilità di muoversi liberamente recarsi al santuario ed
al convento a far visita alla tomba del marito.
f.
L’estromissione di Giovanna da parte del figlio Carlo V
Carlo di Gand/Carlo V
Carlo, il primo
figlio maschio di Filippo e Giovanna, era stato fin dalla nascita sottratto
alla madre ed assieme alle sorelle Eleonora, Isabella e Maria, affidati alle
cure di madame de Halevin che li allevò secondo la cultura e gli usi borgognoni
alternativamente nei castelli di Gand e Malines. Essi vennero quindi affidati alla
zia, granduchessa Margherita d’Asburgo, sorella di Filippo “il Bello”.
Margherita, rimasta vedova dell’infante di Castiglia ed Aragona, Giovanni (1497),
dopo poco tempo sposò il duca Filiberto II di Savoia, scomparso nel 1504. A
seguito della morte del fratello Filippo “il Bello”, Margherita, stabilitasi a
Malines, ricevette dal padre Massimiliano d’Asburgo la delega (1507) per la
reggenza dei Paesi Bassi in attesa della maggiore età del nipote Carlo che a
quel tempo aveva sette anni. Ella si dedicò alla cura dei nipoti, figli del
fratello e di Giovanna, alla cui sorte mai rivolse la sua attenzione.
Margherita, donna colta,
concreta, arguta ed intelligente, amante delle arti, si circondò di letterati e
riunì ricche collezioni e numerosi manoscritti ed affrontò con impegno il ruolo
di tutrice dei nipoti, dalla cui madre erano stati ormai allontanati per
sempre. Rifiutò nuove proposte di matrimonio per mantenere la reggenza dei
Paesi Bassi fino al 1515 e quindi tra il 1518 ed il 1520. Ella, particolarmente
abile nel condurre le trattative diplomatiche, riuscì ad operare in maniera da
far eleggere (1519) imperatore del SRI il nipote Carlo che riuscì a prevalere
su pretendenti del calibro di Enrico VIII d’Inghilterra e Francesco I di
Francia. Per ottenere questo risultato Margherita era riuscita a trovare
l’appoggio dei grandi banchieri tedeschi, tra cui quello di Augusta che gli
aveva prestato un milione di fiorini, e ad utilizzare tutto l’oro che giungeva
in Spagna dal nuovo mondo, per pagare i sette grandi elettori imperiali (i vescovi
di Magonza, Colonia, Treviri ed i principi di Boemia, Palatinato, Sassonia e
Brandeburgo). Carlo assunse il nome di Carlo V, con cui viene ricordato. Nel 1522 Margherita riprese per la terza
volta il potere con funzione di viceré, svolgendo una politica indipendente da
quella del nipote, a cui però rimase sempre legata conducendo per lui
importanti trattative (pace di Cambrai del 1529, da lei
negoziata con Luisa di Savoia, e perciò detta delle Due dame).
Massimiliano andava
spesso a trovare i nipoti per i quali aveva scelto ottimi maestri fiamminghi.
Questi apprezzavano la forte volontà di Carlo il quale mostrava più attitudine
per le pratiche equestri che per i libri ed Erasmo di Rotterdam, divenuto nel
1516 consigliere di Carlo, espresse perplessità in merito alle sue capacità
intellettuali. Si esprimeva in francese, comprendeva poco il tedesco e per
nulla lo spagnolo. L’arciduca Carlo, taciturno, dall’aspetto triste, si
esprimeva con difficoltà per un difetto alla mandibola e, da bambino, manifestò
qualche episodio epilettico. Fu affiancato da rappresentanti nominati dai due
nonni ed affidato ad un dotto tutore, Adriano di Utrecht (futuro papa Adriano
VI) che lo formò culturalmente, e successivamente ad un politico, Guillaume de Chièvres,
che ebbe un grande ascendente sul giovane. Alla maggiore età Carlo si trasferì
da Malines a Bruxelles assieme alla sorella maggiore Eleonora cui era molto
legato. Ciò che non lo trattenne dal far troncare il rapporto amoroso di
Eleonora con il conte palatino Federico di cui si era invaghita, in quanto ella
era stata destinata alle nozze, politicamente utili, con il vecchio re del
Portogallo, Emanuele I. Questi era rimasto vedovo di Isabella e poi di Maria,
sorelle della madre Giovanna e zie di Eleonora. Carlo, impostato secondo i
principi e gli interessi borgognoni, non aveva avuto occasione di stabilire alcun
legame affettivo con la madre di cui ne parlava in maniera formale senza
mostrare alcuna affezione. Egli, educato a perseguire obiettivi di potere, non
gradì la libertà che il reggente Jimenez de Cisneros aveva accordato alla madre
Giovanna, titolare dei diritti dinastici, al punto da protestare duramente
rimproverandogli l’accantonamento dell’inflessibile e crudele carceriere Ferrer.
Dopo la scomparsa
(1419) del nonno paterno Massimiliano I d’Asburgo Carlo ereditò l’arciducato
d’Austria che aggiunse a quanto già aveva ereditato (1506) alla morte del padre
Filippo “il Bello” (Paesi Bassi e Borgogna) ed alla morte (1516) del nonno
materno Ferdinando II (Aragona ed i regni di Napoli, di Sicilia e la Sardegna).
Quanto ai domini della defunta nonna Isabella (regno di Castiglia, possedimenti
in Africa e nuove colonie d’oltreoceano), restava legittima titolare la madre
Giovanna mentre Carlo gestiva il potere effettivo, affidato in reggenza al
cardinale de Cisneros a cui Carlo, dopo la morte del nonno Ferdinando
d’Aragona, affiancò Adriano di Utrecht.
Carlo era quindi
divenuto per eredità, titolare di immensi domini che ingrandì con l’aggiunta di
Boemia, Moravia, Alsazia, Ungheria, ducato di Milano, con l’ampliamento dei
possedimenti coloniali e con il rafforzamento dei legami con il Portogallo, attraverso
il matrimonio con Isabella del Portogallo. Egli venne così a costituire un
assetto imperiale esteso dall’Europa alle Americhe che si rivelò il più vasto
della storia moderna.
Nel 1517, Carlo partì
con la sorella Eleonora ed un imponente numero di navi e di cortigiani per
visitare per la prima volta la Spagna. Lo cortes,
diffidenti nei riguardi del giovane re di cui avevano ricevuto valutazioni poco
rassicuranti (“di nessun valore”, “animoso e crudele”), erano impazienti di
conoscerlo e, temendo che egli intendesse insediare maestranze fiamminghe, lo
avevano informato della disposizione della nonna, regina Isabella, intesa a non
fare assumere incarichi di governo agli stranieri. In quel delicato passaggio istituzionale si verificò la
scomparsa di un personaggio colto ed equilibrato quale era Jimenez de Cisneros ammalatosi
nel corso del viaggio per incontrare Carlo. Con lui scomparve l’ultimo rigoroso
custode della tradizione risalente alla regina Isabella e degli interessi della
Castiglia al cui degno servizio trascorse quasi per intero la sua vita.
Carlo volle subito recarsi
a Tordesillas per incontrare la madre facendosi precedere dal consigliere Chèvres
che trovò Giovanna invecchiata, tremolante e modestamente vestita. Ella, appena
si accorse che si trovava di fronte ad un fiammingo, richiamò alla mente i tristi
anni trascorsi in Belgio ed ebbe uno scatto d’ira prima di controllarsi ed
informarsi dei figli che non vedeva da circa dodici anni. Le dissero che erano
nel palazzo ed ella sollecitò “allora che
entrino subito”. Carlo ed Eleonora, elegantemente vestiti, entrarono con il
loro seguito al cospetto della madre di cui non ricordavano le sembianze.
Giovanna emozionata abbracciò i figli, se li fece sedere accanto con amabilità
li tempestò di domande. Carlo rispondeva ed Eleonora osservava la madre finché questa,
preoccupata per il lungo viaggio che avevano affrontato, dispose per la loro
sistemazione. Carlo ed Eleonora si fermarono per due settimane in una
Tordesillas invasa da fiamminghi a cui venne riservata la presenza ad ogni
cerimonia da cui erano esclusi gli spagnoli, compresa la regina Giovanna.
Carlo incontrò a
Valladolid il fratello quattordicenne Ferdinando, cresciuto in Spagna e
pertanto nel favore dei castigliani e degli aragonesi che premevano perché egli
assumesse la reggenza. Prospettiva che, sovrapponendosi alla mancata rinuncia
di Giovanna ai diritti dinastici, risultava non gradita a Carlo. Questi, nel
tentativo di allontanarlo dalla Spagna, propose al fratello di recarsi in
Belgio con la sorella minore Caterina
per conoscere la zia Margherita. Proposta che trovò la ferma opposizione di
Giovanna, la quale, non informata, non ebbe modo di interferire successivamente
allorché Carlo, sfruttando voci che attribuivano al giovane fratello un
rapporto sessuale con la matrigna Germana di Foix, impose a Ferdinando di
partire per visitare il Belgio.
Carlo, guidato dall’abile
Guillaume di Chévres, si dedicò quindi a piegare la Spagna alle esigenze
fiamminghe suscitando lo sdegno degli spagnoli che, per riconoscerlo, gli
imposero, a salvaguardia dei beni della nazione, un lungo elenco di condizioni,
tra cui il ritorno in Spagna di Ferdinando, almeno fino alla nascita dell’erede
di Carlo ed una maggiore dignità per la regina Giovanna, il cui nome pretesero
fosse scritto per primo nei documenti ufficiali.
Dopo qualche mese
Carlo ed Eleonora tornarono a Tordesillas ed in quella occasione Carlo propose
alla madre di portare con se, a Valladolid, la sorella minore Caterina per
farla vivere nella vita di corte. Giovanna, che non si era mai separata dalla
figlia minore, reagì con un netto rifiuto di cui Carlo non tenne conto ordinando
di sottrarre subdolamente Caterina facendola passare, per eludere il controllo
di Giovanna distolta con la somministrazione di sedativi, attraverso una porta
che era stata costruita e camuffata con un arazzo. Allorché Giovanna si accorse
della scomparsa della figlia cadde in un profondo e disperato dolore, una
prostrazione psicofisica che la indusse a minacciare il suicidio. Ciò che
indusse Carlo a riportare Caterina presso la madre che accolse il ritorno della
figlia senza far pesare al figlio Carlo la maniera con cui le era stata
sottratta.
Carlo si rendeva
conto che la madre, pur se psicologicamente fragile ma perfettamente lucida,
consapevole del suo stato e capace di intrattenere amabilmente rapporti con i
visitatori a lei graditi e condurre con logica e proprietà conversazioni con i
suoi confessori. Tuttavia il rapporto di lei con la religione da sempre tiepido
si era ulteriormente raffreddato allorché per lungo tempo le era stato impedito
di uscire dal castello per andare ad ascoltare messa nel convento di Santa
Clara e per puntiglio rifiutò puntigliosamente di ascoltarla nella cappella del
castello. Carlo temeva che il disimpegno della madre verso la religione, in
netto contrasto con le tradizioni familiari, potesse ostacolare il suo rapporto
con il clero e limitare gli appoggi che egli si aspettava dalla Chiesa ed ancor
più paventava che una Giovanna libera potesse infiammare lo strisciante
sentimento antifiammingo. Si aggiungeva poi l’apprensione per la diffidenza con
cui i maggiorenti di Spagna, che riconoscevano Giovanna quale prima titolare
della corona riservando a Carlo il ruolo di luogotenente, valutavano la sistemazione
dei suoi collaboratori fiamminghi nei posti di responsabilità dell’amministrazione
e la spoliazione dei beni che essi praticavano, tra cui le riserve auree
provenienti dalle colonie e dirottate la via del Belgio. Abbastanza per far sì
che Carlo si sentisse un re dimezzato. Egli pertanto, nell’aprile del 1518, decise
di sostituire il permissivo e rispettoso governatore nominato da Cisneros,
Hernan de Estrada, con il marchese di Denia a cui affidò un esiguo appannaggio
per la gestione della madre e del personale di servitù (circa duecento persone)
ed ordinò di limitare la libertà della regina in maniera che nulla trapelasse
di quanto accadeva in quel castello. Denia eseguì con puntiglio gli ordini ricevuti ed
arrivò a privare Giovanna di ogni assistenza e, nel momento in cui si era
gravemente ammalata, perfino di quella medica nel timore che potesse far
trapelare la sua condizione. E quando Giovanna protestava, Denia, per non
suscitarle animosità contro il figlio, attribuiva la responsabilità della sua
condizione al padre Ferdinando, della cui morte ella non era stata ancora
informata. Ugualmente le fu taciuta la morte del suocero Massimiliano I. Quando
questa si verificò (19 gennaio 1519), Carlo, si recò in Austria per entrare in
possesso a pieno titolo dell’eredità che riguardava le regioni asburgiche del
nonno e le province borgognone della nonna Maria di Borgogna e per concorrere
al titolo di imperatore ricevuto, come si è descritto precedentemente, nel
giugno 1519.
Carlo, durante il suo
soggiorno spagnolo, non era riuscito a vincere la diffidenza di castigliani ed
aragonesi che, pressati dalle imposizioni fiscali e dal potere fiammingo,
avviarono, nel gennaio 1520, una rivolta borghese (rivolta dei comuneros) che, con l’obiettivo di avere
un maggior peso nella gestione dello Stato, era partita da Toledo e Segovia per
diffondersi poi a Toro, Guadalajara, Madrid, Ávila, Soria, Burgos e Valladolid.
Essa, guidata da Juan de Padilla e caratterizzata dall’ostilità verso un re
estraneo alla cultura spagnola, promosse rivendicazioni di carattere
economico-sociale, prese di mira gli amministratori fiamminghi, le sedi di
governo ed il reggente Adriano di Utrecht che venne destituito e riconosciuta a
Giovanna la sovranità. A tal fine i rivoltosi si impadronirono del castello di
Tordesillas da dove cacciarono Denia e la servitù. Il castello riassunse
l’aspetto di un palazzo regale con l’esposizione di tutti gli arredi che a
Giovanna erano stati sottratti ed accantonati. Ella, che in quell’occasione
apprese della morte del padre e di quanto era accaduto successivamente, manifestò
il disappunto per essere stata segregata malgrado fosse una delle più importanti
regine d’Europa. Ricevuta l’offerta di essere riconosciuta unica regina di
Spagna se avesse approvato le finalità della rivolta, si dichiarò disponibile
ad approvare tutto quanto le sembrava fosse rivolto al bene della Spagna. Appariva
consapevole e serena e, persistendo le voci che la definivano incapace di
intendere, furono chiamati i medici di corte per verificare il suo stato per
eludere impedire che ogni atto da lei avvallato potesse risultare inficiato dal
suo presunto stato di demenza. Gli stessi infiltrati di Carlo nel comitato di
gestione della rivolta riferivano di una regina “ragionevole e di buon senso … ed in grado di regnare quanto sua madre
Isabella”. Fatto è che Giovanna, malgrado avesse voluto al suo fianco una
commissione permanente per poter valutare gli effetti di ogni decisione che
avrebbe assunto, perfettamente a conoscenza delle norme procedurali, sollevava
cavilli per ritardare ogni decisione, sentendosi perplessa ed incerta sulle
effettive conseguenze che sarebbero ricadute sul figlio. Intanto la protesta
aveva perso l’iniziale carattere antifiammingo per assumere una impronta antinobiliare
alienandosi così il decisivo supporto della nobiltà, timorosa di una guerra
civile che le avrebbe potuto far perdere i privilegi di cui ancora godeva. La
fronda nobiliare si saldò con i
preparativi antirivoluzionari di Carlo che aveva inviato le sue truppe
imperiali, comandate da Inigo Fernandes Velasco, ad assediare Tordesillas mentre
i ribelli venivano sbaragliati a Villalal prima ed a Toledo poi. Nel 1522 la
rivolta fu sedata con l’uccisione di circa tredicimila rivoltosi, compreso il
loro capo Padilla.
Pur se il successo
non fu determinante per accrescere la credibilità di Carlo, certo rafforzò la
sua posizione. La considerazione, poi, che “sarebbe
una gran disgrazia per la Spagna se vi fossero due sovrani” fu la premessa
per una nuova emarginazione di Giovanna di nuovo costretta dentro il castello
di Tordesillas ed riaffidata al carceriere Denia. Questi, livido per le
vessazioni subite durante la rivolta, allontanò tutti coloro che avevano
qualche rapporto con lei e la costrinse in una camera illuminata da candele dove
il cibo le veniva lasciato davanti alla porta. La figlia Caterina aveva tentato
di far pervenire al fratello un messaggio in cui denunciava le condizioni in
cui era costretta la madre ma questo fu intercettato da Adriano di Utrecht.
Era il 1522 e
Giovanna, all’età di quarantatre anni, veniva definitivamente segregata dentro
le mura del castello di Tordesillas.
Da allora, Carlo si recò
più volte a visitare la madre dovendo assolvere a necessarie operazioni come sottrarle
gioielli appartenenti alla corona, organizzare il trasferimento della salma di
Filippo il “Bello” a Granada, comunicarle che la figlia più giovane, Caterina,
era stata promessa a Giovanni III re del Portogallo succeduto al padre Manuele
I nel 1522, farle firmare importanti atti di governo che sarebbero stati
validati solo con la sua firma.
Caterina partì per il
Portogallo nel 1525, lasciando la madre singhiozzante.
Nel 1526 Carlo andò a
trovare Giovanna per farle conoscere la moglie, Isabella di Portogallo (figlia di
Emanuele I e di Maria d’Aragona, sorella di Giovanna e sorella di Giovanni III).
Da matrimonio nacquero Filippo II di Spagna (1527), Maria (1528, sposa
dell’imperatore SRI Massimiliano II), Ferdinando (1530), Giovanna (1537, sposa
di Giovanni Emanuele del Portogallo) e Giovanni (1539). Giovanni d’Austria,
comandante della flotta che sconfisse i Turchi a Lepanto (1571) era
illegittimo.
Dal
punto di vista politico Carlo V non conseguì rilevanti successi, condizionato
da altrettante forti realtà come il Regno di Francia e l’Impero Ottomano, contro
cui combatté per difendere Vienna assediata (1529) e le rotte commerciali tra
la Spagna ed i possedimenti Italiani di Napoli e Sicilia. Perseguì il sogno di
un’autorità monarchica attraverso la realizzazione di una Repubblica
Cristiana, guidato dagli Asburgo e costituita dagli Stati d’Europa in lotta
contro l’Islam, progetto fallito per l’affermarsi della riforma protestante e
per l’opposizione di Francesco I di Francia contro cui combatte sanguinose
guerre per il possesso del Ducato di Milano, indispensabile per raggiungere
l’Austria dalla Spagna senza passare dalla Francia. Dovette contrastare il
tentativo di conquistare il Regno di Napoli (1552) da parte della Francia di Enrico
II, sorretto dai Turchi, in questo favorito dal mancato congiungimento delle
flotte francese e turca e malgrado una sconfitta subita a Ponza.
Nel 1553 Carlo,
benché ancora giovane ma fisicamente prostrato dalle lotte condotte, deluso per
aver fallito il suo obiettivo dell’istituzione di un impero universale e per
non aver impedito l’affermazione della dottrina luterana, maturò la decisione
(imposta dai principi tedeschi che volevano la separazione dell’Impero dalla
Spagna) di dividere i suoi domini tra il figlio maggiore Filippo II, a cui
destinò quelli spagnoli ed il fratello Ferdinando I, cui destinò quelli
asburgici, lasciando loro il gravoso compito del risanamento di una decadente
situazione economica prodotta dalle guerre sostenute. Dopo aver abdicato, nel
1556 Carlo, seguito dalle sorelle Eleonora e Maria, benché ancora schiavo dei
sensi e di una smodata voracità, decise di ritirarsi nel monastero gerolimitano
di Yuste, in Estremadura, per vivere separato dalla moglie in povertà ed
esprimere la sua morbosa religiosità.
Ferdinando I d’Asburgo
d’Austria (1503-1564)
sposò Anna Jagellone, figlia del re d’Ungheria Leopoldo II, da cui ebbe
quindici figli. Governò direttamente nel periodo 1556-1564 quando già
esercitava con competenza il potere sui domini asburgici essendo riuscito ad
ottenere la pacificazione religiosa della Germania con la pace di Augusta.
Questa riconosceva ufficialmente la Dottrina luterana con il principio che i
sudditi di una regione dovevano professare la religione scelta dal loro
reggente (cuius regio, eius religio). Ricevuti i domini austriaci,
acquisì la corona imperiale (1558) perpetuando il ramo austriaco degli
Asburgo.
Ferdinando
I SRI
Filippo II
d’Asburgo di Spagna (1527-1598)
sposò (1543) Maria Emanuela di Portogallo, figlia di Giovanni III e Caterina
(ultima figlia di Giovanna). Ebbe altre tre mogli a cui sopravvisse: nel 1554
sposò la cugina Maria Tudor “la Cattolica” (figlia di Enrico VIII e della zia
Caterina d’Aragona) che viene ricordata per aver riacceso i roghi
dell’Inquisizione con la promulgazione di spietate leggi contro eretici e
protestanti; nel 1559 sposò Elisabetta di Valois e, nel 1570, la nipote Anna d’Austria,
figlia della sorella Maria. Ricevette in eredità, tra il 1554 ed il 1556, la
corona di Spagna con i domini d’oltremare, il Ducato di Milano, le province dei
Paesi Bassi, il Regno di Napoli, il Regno di Sicilia e la di Sardegna. Diede
origine al ramo spagnolo degli Asburgo che governò la Spagna con i
successori Filippo III, Filippo IV e Carlo II, alla cui morte (1700) la
dinastia si spense per mancanza di eredi. Subentrò Filippo V, nipote di Luigi
XIV di Francia, e quindi del ramo Borbone che diede avvio, con il figlio Carlo
di Borbone (poi Carlo III di Spagna) alla dinastia Borbone di Napoli.
Filippo
II
g.
La triste fine di Giovanna
Giovanna era stata
affidata alle scarse cure di una dozzina di dame di corte le quali, avendo
talvolta occasione di uscire dal castello, furono emarginate dall’amministratore
Denia deciso a non lasciar trapelare alcunché di quanto accadeva nel palazzo di
Tordesillas, nessuno dei cui abitanti credeva alla malattia mentale della
regina. Soprattutto premeva che non fosse divulgato il rifiuto di Giovanna a
confessarsi (“che peccati volete che
abbia commesso, sono soltanto una povera donna che soffre!”) e di ricevere
i sacramenti. Rivelazione che terrorizzava Carlo al pensiero che essa potesse
giungere alle corti d’Europa o alle orecchie dei giudici dell’Inquisizione. E
per tale motivo egli aveva progettato di esiliare la madre in un posto ancor
più isolato ma ella si era rifiutata di muoversi intendendo lasciare
Tordesillas “da libera o da morta”.
Le venivano concessi solo brevi incontri ufficiali in cui non faceva altro che
lamentarsi di non essere informata di quanto accadeva nei suoi regni e le
veniva negata la possibilità di incontrare i personaggi più influenti del regno,
nella preoccupazione che gli accorati ed appassionati discorsi di Giovanna
potessero estendere il diffuso sentimento di compassione nei suoi confronti.
Ella reagiva a tali limitazioni con manifestazioni di collera contro il Denia
che la puniva facendola chiudere in un angusto ambiente, umido e buio, dove
rifiutava cibi e cambi di biancheria.
Il nipote Filippo II,
nel 1543 andò a farle visita per presentarle la giovane sposa Maria Emanuela,
figlia di Caterina e quindi nipote di Giovanna. Si organizzò in loro onore una
festa e Giovanna, benché afflitta da molti malanni e trascinandosi stancamente,
volle danzare con loro. Una breve parentesi di libertà perché rare erano le
volte in cui aveva la forza di recarsi fino al monastero delle Clarisse
accompagnata da Luis Denia, subentrato nella funzione del padre, alla morte di
questi e più generoso verso Giovanna. Filippo II, rimasto sensibilizzato dalle
condizioni della nonna, le mise accanto, per la cura del corpo e dello spirito,
un esperto medico, il dottor Santa Cara ed il gesuita, padre Francesco Borgia. Questi
si sistemò nei pressi del castello e cercò in ogni modo, anche con l’esorcismo,
di avvicinare ai sacramenti una donna ormai in preda al delirio ed al rimpianto
dei due figli Ferdinando e Caterina che, nati in Spagna, le erano rimasti
accanto per più lungo tempo. Giovanna trascorse gli ultimi anni della sua vita
quasi sempre a letto afflitta dai dolori e dalle molestie degli infermi.
Dopo aver rifiutato
per l’ennesima volta la confessione, Giovanna regina di Castiglia e di Leon, di
Galizia, di Granada ecc., regina di Aragona e dell’Alta Navarra, di Napoli e di
Sicilia, principessa delle Fiandre e d’Austria, arciduchessa di Borgogna,
passata alla storia con il soprannome di “Pazza”, morì il 12 aprile 1555
vittima, nel suo amaro destino, più dell’avidità di potere che dalla ragion di
stato. Il suo corpo fu imbalsamato e sontuosamente esposto.
Aveva 75 anni di cui
quarantasei trascorsi da prigioniera nel castello fortezza di Tordesillas.
Tutti i suoi discendenti, sparsi per l’Europa, si riunirono per un solenne
funerale in Belgio. La sua salma fu trasportata a Granada e tumulata accanto a
quella del marito e dei genitori.
Giovanna, nella
Spagna bigotta del suo tempo, aveva manifestato fin da giovane anticonformismo
religioso e ripulsa dei metodi dell’Inquisizione,
motivo per cui era stata costretta a flagellarsi e fare emergere una
fragilità che le successive avverse vicende avevano inquietantemente potenziato
fino a farla divenire una tragica vittima. Il suo presunto stato patologico,
demenza, mai compiutamente accertato da alcun collegio medico né cronisti del
tempo, fu comunque ed opportunamente enfatizzato ed utilizzato dal marito, dal
padre e dal figlio per soli fini di potere dinastico. Ma quanto fu autentica
follia e quanto scandalosa e violenta
sopraffazione è rimasto alle valutazioni della storia.
Sei mesi dopo la
morte di Giovanna morì il figlio Carlo (21 settembre 1558), sofferente di
epilessia, di gotta, di attacchi d’asma e di altri disturbi. La decisione di
abdicare aveva sorpreso tutte le corti d’Europa al punto che si diffusero dubbi
sulle sua capacità mentali. Si ritenne che il germe della demenza alimentasse
la sua stirpe. Ed esso si manifestò clamorosamente in due discendenti, di nome
Carlo. Il primo fu il figlio maggiore di Filippo II nato dall’unione con la cugina
Caterina. Egli era deforme ed insano e reagiva alle avversità con
manifestazioni caratterizzati da estrema violenza; morì a ventitre anni.
L’altro Carlo è l’ultimo discendente degli Asburgo sul trono di Spagna, Carlo
II, nato dal matrimonio del padre Filippo IV con Marianna d’Austria, la figlia
della sorella Anna Maria di Spagna. Carlo II era inabile fisicamente ed
intellettualmente, effetto di tare familiari trasmesse e potenziate dalle molte
unioni fra consanguinei.
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Riferimenti bibliografici
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