La Spagna del XV-XVI sec.

 

Giovanna di Castiglia “la Pazza”

 

Il tempo di Isabella di Castiglia, Federico II d’Aragona, Filippo “il Bello”, Carlo V

 

 

1.     Prologo, I re cattolici

2.     Giovanna di Castiglia “La Pazza”; Il matrimonio di Giovanna; I passaggi della successione; L’estromissione di Giovanna da parte del marito Filippo “Il Bello”; L’estromissione di Giovanna da parte del padre Ferdinando II d’Aragona; L’estromissione di Giovanna da parte del figlio Carlo V; La triste fine di Giovanna.

 

 

1.   Prologo

 

Le vicende del XIV-XV sec. furono determinanti per favorire, nella penisola iberica, il processo di aggregazione alla Castiglia ed all’Aragona dei regni che si erano via via affrancati dalla dominazione araba.

Nel 1230, il re di Castiglia, Ferdinando III “il Santo”, con il Tratado di Las Tercerias (1230) era riuscito ad annettersi il regno di Leon e successivamente la Murcia (1236) e l’Andalusia (1246).

Nel XII-XIII sec., il re d’Aragona, Alfonso II, ereditò la contea di Barcellona che comprendeva la Catalogna, e nel 1238, Giacomo I  acquisì il regno di Valencia.

La fusione dei regni d’Aragona e di Castiglia si avviò nel 1412 con l’avvento della dinastia dei Trastamara in Aragona ed ebbe un sostanziale impulso col matrimonio di Ferdinando II d’Aragona ed Isabella di Castiglia. Attraverso le vicende che verranno di seguito illustrate, la definitiva formale unificazione si verificò con l’attribuzione ereditaria delle due corone a Carlo di Gand (Carlo I di Spagna o Carlo V imperatore del SRI). Tuttavia i regni di Castiglia e di Aragona, pur se attribuiti allo stesso re, mantennero amministrazioni differenziate e, nel 1700, durante la guerra di successione spagnola si trovarono in contrapposizione a sostenere rispettivamente le dinastie dei Borbone e degli Asburgo. Prevalse la fazione appoggiata dalla Castiglia ed i Borbone, a seguito del trattato di Rastadt, vennero riconosciuti regnanti di Spagna.

 

 

a.   I re cattolici

Giovanni II Fernandez (1397-1479) Trastamara, re di Navarra e di Aragona, nel 1479, designò il figlio Ferdinando II (1452-1516), a succedergli sul trono d’Aragona mentre destinò alla figlia Eleonora, sposata  a Gastone IV di Foix, la Navarra che così cadde sotto l’influenza francese (per essere in parte riconquistata da Ferdinando nel 1513). Ferdinando aveva sposato undici anni prima la cugina Isabella, figlia del re di Castiglia, Giovanni II Enriquez (1405-1454) Trastamara. Essi avevano pertanto riunito nel loro blasone, accanto alle insegne di Castiglia ed Aragona, quelle delle antiche casate iberiche assorbite e discendenti degli antichi re visigoti.

Isabella alla morte del fratellastro Enrico IV, nel 1474, ereditò la corona del regno di Castiglia. Con l’applicazione del contratto di matrimonio tra Ferdinando ed Isabella, si era delineato, in prospettiva, il progetto di unificazione dinastica delle corone di Aragona e di Castiglia che tuttavia mantennero governi separati, ciascuno con la propria amministrazione e capitale, Barcellona e Valladolid rispettivamente. I poteri di Ferdinando, per la diversa consistenza dei due regni, risultavano però limitati rispetto a quelli di Isabella (reina proprietaria).

 

La Spagna al tempo di Ferdinando II d’Aragona e di Isabella di Castiglia

 

Ferdinando, nel 1468, era stato nominato re di Sicilia dal padre che l’aveva ricevuta dal fratello Alfonso V “il Magnanimo” (1396-1458).

Nel 1481 Ferdinando, sfruttando le sue attitudini militari e le doti diplomatiche, completò la reconquista dei territori musulmani (al-Andalus: dal visigoto Landahlauts/feudo) appartenenti alla dinastia sultanale dei Nasridi di Granada. Dopo aver conquistato, nell’arco di più di un decennio e con vari apporti fra cui quello dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo (1459-1519), Malaga, Baza ed Almeria, nel gennaio del 1492, riuscì a provocare la capitolazione di Granada, una città fortificata le cui roccaforti sistemate sulle cime dei monti erano inaccessibili se non ai cavalli selvaggi degli agili cavalieri moreschi. Granada che veva ceduto per fame a seguito di un lungo assedio, era divenuta sotto la dominazione delle dinastie moresche degli Almoravidi e degli Almohadi la più bella città della Spagna. Il sultano Boabdil, per evitare la distruzione ed il saccheggio della città, si arrese e si ritirò per qualche tempo nel piccolo regno di Alpujarras prima di raggiungere il Marocco, atto che segnò la fine della dominazione araba della Spagna. La clausola del trattato di capitolazione che impegnava i sovrani spagnoli al rispetto della libertà religiosa di tutti i non cristiani, ebrei e musulmani, non venne rispettata. La città fu invasa dagli speculatori che giungevano da ogni parte d’Europa per acquisire i suoi bei palazzi ed il regno di Granada fu congiunto a quello di Castiglia che, assieme all’Aragona, diede origine ad una grande formazione statale, amministrata dai due coniugi sovrani e comprendente anche la Sicilia, le Baleari e la Sardegna. Quest’ultima era stata attribuita da papa Bonifacio VIII (1297) in feudo agli aragonesi i quali ne presero possesso nel1326. Alla caduta di Granada papa Innocenzo VIII, conferì ai due sovrani l’ambitissimo  titolo di Maestà cattolica, quale riconoscimento per la cacciata degli “infedeli musulmani”.

Ferdinando ed Isabella provvidero a consolidare i loro regni istituendo le Cortes, assemblee costituite dai rappresentanti dei nobili, del clero e della borghesia cittadina  con facoltà di proporre nuove leggi la cui approvazione rimaneva esclusivo diritto del sovrano. Tuttavia fu la religione cattolica a costituire la forza di aggregazione delle due entità statali e lo strumento su cui la coppia reale, fin dal suo esordio, puntò per il consolidamento del regno. Infatti fin dal 1478, Ferdinando ed Isabella erano riusciti a porre sotto la loro giurisdizione il clero, una operazione sgradita al papato non solo per la conseguente perdita di autorità ma soprattutto per il fatto che parte delle rendite si fermavano nella capitale del regno, Toledo, anziché prendere la via di Roma. Nel 1480 la devota cattolica, regina Isabella, introdusse in Castiglia l’Inquisizione. Quattro anni dopo Ferdinando fece altrettanto in Aragona, utilizzando l’apparato clericale sia per estendere il controllo sui sudditi sia per realizzare i suoi progetti intesi ad allontanare ebrei ed arabi dai propri domini.

 

Ferdinando II d’Aragona ed Isabella di Castiglia

 

L’Inquisizione era una istituzione promossa, nel XII sec., dalla Chiesa Cattolica per fronteggiare certe nascenti eresie dei Catari e dei Valdesi. Il Concilio Lateranense (1215) ed il Concilio di Tolosa (1229), ritenendo l’eresia religiosa una minaccia per l’ordine costituito, avevano stabilito che spettava ai vescovi giudicare gli eretici la cui pena sarebbe stata inflitta dagli Stati che si erano allineati alla Chiesa. Nel 1231 papa Gregorio IX aveva sottratto l’Inquisizione al potere dei vescovi per affidarla ad inquisitori permanenti dell’ordine domenicano. Inizialmente gli inquisitori agirono individualmente quindi, nel 1235 nacque l’istituzione con precisi e formali obiettivi di inquadramento unitario di attività e poteri di ogni singolo inquisitore. Nel 1252, con la bolla Ad extirpanda, Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura.

L’Inquisizione, dal tempo della sua istituzione, aveva già istituito processi con persecuzioni e roghi (contro i Valdesi nel periodo 1209-1229; contro i Catari, 1244 e 1278; periodo in cui furono mandati al rogo più di 400 fedeli per eretica malvagità; con la stessa motivazione e per apostasia, nel 1314, era stato condannato al rogo Jaques de Molay, ultimo gran maestro dei Templari). Ferdinando II, in una situazione in cui il Papato si vide indebolito per il defilarsi dei suoi tradizionali alleati (la Repubblica di Venezia e la Francia di Carlo VIII), utilizzò, in qualità re di Sicilia, il suo potere di protezione sul Papato e la mediazione del vescovo di Valencia, Rodrigo Borgia, per istituire l’Inquisizione in Spagna coll’intento di eliminare le forze che potevano ostacolare il consolidamento di Aragona e di Castiglia al fine della fusione in un unico Regno. Riuscì così ad ottenere il consenso di papa Sisto IV che, nel 1478, emanò una Bolla (Exigit sinceras devotionis affectus) con cui veniva istituita l’Inquisizione spagnola che venne quindi sottratta (1483) a qualsiasi ingerenza papale. Con la nomina di padre Tomas de Torquemada ad inquisitore generale per i regni di Castiglia ed Aragona, Ferdinando ed Isabella, persuasi di servire la volontà di Dio, ne fecero uno strumento personale di discriminazione volto al consolidamento dei loro interessi.

I primi ad essere oggetto di una fanatica persecuzione furono gli ebrei, quindi i musulmani e poi i cristiani tiepidi o in odore di eresia, i visionari, gli omosessuali ed altri in un accanito e spietato crescendo inquisitorio che non si fermò di fronte a nessuna istanza e che si nascose sotto l’insegna della limpieza de sangre.

 

Gli ebrei, cui già dal 1476 era stato imposto di portare un segno distintivo sugli abiti e vietato di praticare la professione di maestro, medico ed architetto, occupavano ruoli prestigiosi nell’amministrazione in quanto, colti e potenti. Essi gestivano scuole, ospedali e mercati ed erano stati impiegati in passaggi determinanti del collegamento fra i due regni. Successivamente l’attività della Santa Inquisizione spagnola, con l’istituzione da parte dei sovrani del principio della conformità religiosa, si diresse verso la loro espulsione con confisca dei beni. I primi destinatari dell’attività inquisitoria furono i banchieri ebrei che, depositari di una grande potenza economica, avevano prestato al padre di Ferdinando, Giovanni II, molti dei soldi impiegati per stipulare l'alleanza e il matrimonio tra i destinatari dei due reami spagnoli. Questi debiti si estinsero in gran parte con la condanna dei creditori mentre il tesoro reale si accresceva con i beni confiscati alle vittime.

Gli ebrei, che in quel tempo rappresentavano 1/3 della popolazione, a seguito dell’imposizione di sottomettersi al battesimo cristiano o lasciare il paese, divennero oggetto di una  feroce persecuzione con un numero rilevante di processi e condanne al rogo (1492). La metà di essi (ebrei Sefarditi) che non accettò di convertirsi al cristianesimo lasciò il paese, paralizzandone le attività culturali e commerciali, e si dispersero in Portogallo, nel bacino Mediterraneo (Marocco, Italia, paesi balcanici) e nell’Impero Ottomano dove trovarono condizioni di maggior tolleranza religiosa. Quelli che accettarono forzatamente di convertirsi (conversi) per poter rimanere in Spagna (marranos: maiali) in buona parte continuarono a praticare in segreto la propria religione (cripto-giudaismo) ma furono sottoposti ad ogni genere di discriminazione economica e sociale ed alla segregazione in ghetti (juderias).

 

L’azione della Santa Inquisizione fu diretta ugualmente verso i musulmani di Spagna (moriscos) portatori di una cultura artistica e scientifica molto più raffinata e seducente rispetto a quella grossolana delle corti spagnole. Nel 1499 i sovrani ordinarono a tutti i musulmani di abbracciare la religione cristiana causando rivolte iniziate nella zona di Albacin ed Alpujarra. Queste, a seguito della crescita della pressione fiscale e dei divieti miranti a cancellare le usanze legate alla cultura araba, tra cui l’uso della lingua parlata e scritta, si intensificarono via via negli anni successivi ed in egual misura si accentuò la repressione. Un fenomeno che ebbe l’epilogo nel 1609 in cui la Spagna di Filippo III (1578-1621), benché stremata dalle guerre, espulse oltre 300.000 musulmani che trovarono sistemazione nelle coste del Nordafrica e nei territori dell’impero ottomano  causando in Spagna una pesante crisi del settore agricolo, crisi che venne camuffata dalla immensa quantità di preziosi che giungevano dal nuovo mondo.

La scoperta dei nuovi territori, dopo la colonizzazione dell’arcipelago delle Bahamas e di Portorico attuata da Colombo (1492) e finanziata dalla regina Isabella e quella del navigatore portoghese Bartolomeo Diaz che aveva oltrepassato il capo di Buona Speranza ed avviato l’esplorazione dell’oceano Indiano (1488), indusse i sovrani di Castiglia e del Portogallo, la regina Isabella e re Giovanni II, a sottoscrivere il trattato di Tordesillas (1494). Esso prevedeva la spartizione del mondo al di fuori dell’Europa in un duopolio esclusivo separato da una linea meridiana che passava per Capo Verde e prevedeva l’estensione dell’impero spagnolo ad ovest e di quello portoghese ad est.

Nel 1504, Ferdinando II completò l’espansione del regno di Spagna con l’acquisizione del Regno di Napoli (v. seguito). Intanto le colonie spagnole d’oltremare, rappresentate dalle isole caraibiche conquistate da Colombo (1492) si erano allargate con l’aggiunta (1519) dell’impero Azteco (Florida, Cuba, Messico, Guatemala ed Honduras) e (1532) dell’impero Inca (Perù e Cile), sottomessi rispettivamente da Hernan Cortés e da Francisco Pizzarro.

 

 

 

2.   Giovanna di Castiglia “la Pazza”

 

Giovanna di Castiglia

 

Dall’unione di Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia nacquero cinque figli Isabella, Giovanni, Giovanna, Maria e Caterina, rispettivamente nel 1470, 1478, 1479, 1482 e 1485. Essi crebbero in un ambiente di corte dominata dal clero che interferì pesantemente sull’educazione dei rampolli regali, vietando loro anche i più innocenti e formativi approcci quali la danza e la musica e demonizzando gli agi, il lusso e gli abiti vistosi. In quegli anni l’inquisitore frate Tomas de Torquemada, confessore dei sovrani, aveva particolare ascendente e notevole influenza sulla coscienza reale ed in particolare sulla regina Isabella in costante trasferimento da una città all’altra della Spagna, seguita dalla corte e dagli apparati amministrativi che le consentivano il diretto governo dei suoi domini e la riscossione dei tributi. I suoi continui spostamenti la portarono a partorire i suoi figli in luoghi diversi (Duenas, Siviglia, Toledo, Cordova, Alcalà de Henares) non per caso ma per una scelta volta ad accrescere la sua popolarità, coinvolgendo la partecipazione dei suoi sudditi agli eventi più significativi della vita. Per il suo terzo parto aveva scelto Toledo, città vivace e colta che aveva conosciuto il dominio romano e quello visigoto prima di diventare roccaforte moresca ed aver visto fiorire, dopo l’occupazione cristiana, l’aggraziata e solare arte mudejar, un ibrido fra forme orientali e stile occidentale il cui modello era rappresentato dalla poderosa fortezza dell’alcazar dalle quattro torri sovrastanti la pianura di Madrid. La nascita di Giovanna, che aveva preso il nome della risoluta e battagliera nonna paterna, Giovanna Enriquez, e dal padre aveva ereditato un leggero strabismo divergente all’occhio sinistro, aveva deluso i genitori che speravano nella nascita di un maschio poiché si era già proposto il problema della successione in quanto il secondo figlio, Giovanni, mostrava grossi problemi fisici (balbuziente, rachitico ed inappetente) mentre il primo dei numerosi figli illegittimi di Ferdinando, Alfonso di Aragona, non poteva aspirare alla successione. Isabella, profondamente cattolica, dotata di una operosa concretezza che anteponeva gli affari di Stato a quelli coniugali e convinta dell’indissolubilità del matrimonio, si era adattata ai comportamenti libertini del marito, impegnato in lunghe campagne militari, nella convinzione che bastasse la fedeltà di uno dei due coniugi per mantenere saldo il matrimonio. A tal fine, secondo il suggerimento della suocera, era solita far dormire i figli nel suo letto per allontanare ogni sospetto di tradimento. 

La infanta Giovanna trascorre la sua fanciullezza, in costante trasferimento al seguito della battagliera e dispotica madre capace di primeggiare, in un mondo in cui la donna rappresentava la parte emarginata e soggiogata della società, al punto da essere raffigurata con una armatura da guerriero. Giovanna, pertanto, per lo stile di vita cui venne costretta, non ebbe la possibilità di stabilire radici in luoghi familiari né di trovare, nella famiglia e tra le persone del seguito, quegli affetti e riferimenti indispensabili alla formazione del carattere, soprattutto in quella fase evolutiva in cui gli istinti dei bambini sono sottoposti al controllo della razionalità dell’adolescente. Il cupo ambiente di corte, sottoposto al rigoroso condizionamento dei frati inquisitori, esercitò sul suo carattere, istintivamente indipendente, una costrizione che represse la sua volontà senza piegare il sentimento di ribellione. Fin da giovane, obbligata a flagellare il suo corpo per invocare il perdono di Dio, si rivelò insofferente a tali pratiche e mostrò di subirle come la pena più odiosa. Ciò malgrado venne costantemente ripresa dalla ingombrante, passionale ed autorevole madre che, insoddisfatta delle manifestazioni di intolleranza della figlia, tentava puntigliosamente di correggerla. L’intento era quello di orientarla alla pratica della docilità, conveniente ad una giovane destinata a diventare regina, ed alla palese sottomissione ai voleri del marito, per la qualcosa voleva che la figlia affinasse la capacità di indirizzarne le scelte, anche attraverso intrighi di palazzo ove fosse stato necessario, assuefacendola al principio che nell’interesse dello Stato tutto può rivelarsi lecito. Ma Giovanna, crescendo, diventava sempre più scostante verso la servile solerzia delle dame che si aggiravano nella severa corte materna e sempre più infastidita dai severi controlli dei frati e dei prelati, arcigni censori delle cerimonie e manifestazioni di corte. Era poi inorridita dai processi dell’Inquisizione, dai riti di condanna e dal crepitio dei roghi delle pubbliche esecuzioni. In sostanza un quadro comportamentale che rivelava un anticonformismo religioso ed una personalità ribelle inconsueti in un tempo retrivo e soggiogato dall’Inquisizione. Da tutto ciò ella tentava di fuggire alla ricerca di gradevoli alternative cercando di appartarsi per giocare con le sue ancelle moresche o immergendosi nell’apprendimento delle discipline cui era stata indirizzata, sacre scritture, storia e filosofia, lingue, araldica e musica, dove si rivelava particolarmente abile da risultare la preferita dagli istitutori.

 

Ferdinando ed Isabella, che avevano pianificato il loro matrimonio in vista della creazione della nazione spagnola, altrettanto efficacemente  cercarono di impostare la loro politica estera allacciando impostata legami con le grandi dinastie europee attraverso le unioni matrimoniali dei figli. Nella strategia di mantenere sotto controllo l’intera penisola iberica, avevano destinato la prima figlia Isabella al matrimonio con Alfonso, erede al trono del Portogallo. Così, per assicurare il libero approdo nei porti inglesi alle loro navi commerciali dirette verso i porti del nord Europa era opportuno rinsaldare il legame con la corte d’Inghilterra, venne concordato il matrimonio della figlia più giovane, Caterina, con Arturo, destinato a succedere al sovrano inglese Enrico VII. Giovanna rientrava in un progetto più ambizioso che riguardava il collegamento con l’imperatore del SRI Massimiliano I d’Asburgo con cui i sovrani spagnoli erano stati in rapporto per uno scambio di reciproci aiuti: Massimiliano aveva sedato con l’apporto delle milizie spagnole la guerra civile esplosa in quel crogiolo di diverse religioni e culture che erano le province dei Paesi Bassi ed i sovrani spagnoli avevano completato la reconquista con l’aiuto consistente dei lanzichenecchi (land-knecht: servitori della patria) inviati da Massimiliano. Questi aveva sposato una delle donne più ricche del continente, la granduchessa Maria di Borgogna, che a seguito di moti rivoltosi verificatesi dopo la morte del padre Carlo di Borgogna “il Temerario”, era stata imprigionata dai francesi di Luigi XI interessati ad annettersi la Borgogna. Massimiliano I era intervenuto in suo soccorso e dopo averla liberata l’aveva sposata, arricchendosi con una ingente dote che comprendeva, oltre alla Borgogna, i ricchissimi territori di Fiandra, Artois e Piccardia, Brabante, Lussemburgo, Olanda e Zelanda. Dalla loro unione erano nati Francesco, morto in tenera età, Filippo “il Bello” (1478) e Margherita (1480). Massimiliano e Ferdinando nel 1488, a Valladolid, avevano convenuto di unire politicamente i loro grandi imperi per stringere in una morsa la potente Francia, avversaria di entrambi. A tale scopo suggellarono l’accordo per il duplice matrimonio dei rispettivi figli, Filippo e Margherita di Borgogna con Giovanna e Giovanni di Castiglia.

 

 

b.   Il matrimonio di Giovanna

Giovanna aveva accolto senza alcuna contrarietà l’annuncio del concordato di nozze con uno dei principi ritenuto tra i più affascinanti d’Europa.

Nei Paesi Bassi dove viveva Filippo di Borgogna, dopo la prematura morte della raffinata Maria di Borgogna (1482) che aveva lasciato eredi i suoi due figli Filippo e Margherita, da parte della nobiltà borgognona erano emerse tali ostilità rispetto alla reggenza affidata al marito, imperatore Massimiliano, da costringere quest’ultimo a trasferire il governo delle diciassette floride province dei Paesi Bassi alla efficiente guida delle più importanti famiglie, che operarono in nome del figlio Filippo. Questi, sottratto agli istitutori germanici dalla nonna materna, l’energica granduchessa Margherita di York, era stato allevato a Gand ed istruito secondo la cultura della Borgogna rivelandosi di carattere poco affidabile ma ambizioso, arrogante, spregiudicato, poco interessato all’apprendimento e piuttosto incline ad eludere le responsabilità per dedicarsi agli svaghi. Nel 1493, il quindicenne Filippo, assunta con l’investitura popolare la sovranità della Borgogna lasciata dal padre Massimiliano che era stato investito del potere imperiale, stabilì la sua corte a Lavonio.

Il matrimonio per procura fra Giovanna e Filippo di Borgogna e d’Asburgo, rappresentato dal figlio illegittimo di Carlo il Temerario, Baldovino il bastardo, fu celebrato a Valladolid nel gennaio 1495 in occasione della inaugurazione delle cortes ed in presenza di Massimiliano I. La figlia di questi, Margherita d’Asburgo, sposò successivamente per procura Giovanni successore alle corone di Castiglia e di Aragona.

 

Filippo d’Asburgo “il Bello” e Giovanna di Castiglia “la Pazza”

 

 

Giovanna era impaziente di lasciare la Spagna e raggiungere l’Olanda per sottrarsi al soffocante ed opprimente condizionamento materno, raggiungere una corte in cui riteneva di poter liberamente esprimere la sua personalità e condurre con se le sue ancelle moresche, rifugio defilato del suo desiderio di serenità. Ella, guidata dalla madre che la addestrava ai doveri di moglie ed ai comportamenti di principessa in un paese che bisognava attrarre nell’orbita degli interessi spagnoli, aveva predisposto i vestiti e gli arredi nuziali mentre il padre Ferdinando faceva allestire una flotta di venti navi e numerose imbarcazioni di scorta che, in partenza da Laredo, doveva condurre nelle Fiandre Giovanna e portare in Spagna Margherita d’Asburgo per celebrare le nozze con Giovanni. Giovanna, affiancata da dodici ancelle moresche e sessanta dame, era accompagnata da un seguito di più di quattromila persone tra dignitari, rappresentanti delle più nobili famiglie di Spagna ed equipaggio. La flotta carica anche di mobili e suppellettili, salpò in agosto e, dopo una sosta di qualche settimana nel porto inglese di Portland dove Giovanna aveva ricevuto la visita del re e di nobili inglesi, giunse in settembre in un porto olandese. Da qui una Giovanna, impacciata e frastornata dall’impatto con una gaiezza cui non era abituata, venne condotta ad Anversa dove l’attendevano i rituali festeggiamenti. Intanto l’equipaggio impegnato nel rimessaggio delle navi era rimasto senza risorse e bloccato dall’inverno senza che Giovanna potesse provvedere, non avendo ricevuto nulla dei pattuiti ventimila ducati di appannaggio da parte di Filippo, impegnato altrove in rappresentanza del padre e forse non informato dell’arrivo di Giovanna che incontrò successivamente a Lier. Filippo, più basso della sposa, pochi denti e sorriso sgangherato, dal passo incerto per un incidente di caccia, era fisicamente bello e vigoroso, capelli biondi ed occhi celesti, accolse Giovanna con un abbraccio con cui, d’impatto, le trasmise il calore della sua sensualità coltivata a contatto delle compiacenti dame fiamminghe. Prima della celebrazione delle nozze i due sposi si erano rifugiati per due giorni in un accogliente castello dove la giovane ed inesperta Giovanna, rimasta inebriata dalla percezione di libertà e dal sottile compiacimento dei sensi, incominciò a gustare quelle sensazioni coinvolgenti che la portarono a divenire preda di una passione nei riguardi di Filippo che innescò un sentimento di possesso, esternato successivamente con manifestazioni di morboso attaccamento. Ella esibiva felice il suo amore verso l’attraente e giovane marito tra gioiose feste, sfarzosi banchetti, ricchissimi vestiti ed appariscenti gioielli e tanto più si sentiva lontana dai rumori di guerra, dal terrore dell’Inquisizione, dal sentore dei roghi e dall’opprimente, tetra e castigata corte spagnola tanto più sembrava esaltarsi.

Dopo il felice impatto iniziale con i piaceri del matrimonio, la scoperta di un mondo di corte splendente e del rapporto ardente e passionale con il marito, iniziarono per Giovanna le prime delusioni. Ella inconsapevole ed inesperta era lontana dal supporre che si sarebbe trovata irretita in una nuova prigionia altrettanto opprimente di quella da cui aveva pensato di fuggire. Le prime contrarietà si materializzarono con l’estromissione di tutto il personale spagnolo al seguito di Giovanna che, inviso per l’atteggiamento di scostante diffidenza con cui si poneva di fronte a tutte le fastose manifestazioni della piccante corte fiamminga, fu allontanato su disposizione di Filippo che intendeva sottrarre la moglie al condizionamento spagnolo. Giovanna che era riuscita a mantenere con se le ancelle moresche, fu affiancata dalla nutrice di Filippo, Madame de Halevin, e da dame fiamminghe che, pur agevolando il suo inserimento nella nuova lussuosa realtà e contribuendo a far allontanare i rimorsi che i condizionamenti educativi le inducevano per i nuovi comportamenti, di fatto la isolarono dall’influenza della madre che continuava ad ammonirla inviandole messaggeri che ella finì con il rifiutare di ricevere. Tuttavia la nuova maniera, travolgendo completamente i canoni cui era stata assuefatta, le procurava costante disagio e palese insicurezza e, come se un frammento del recente trascorso staccatosi dalla Spagna entrasse dentro il suo animo, le sorgeva coinvolgente il timore di incorrere in qualche orrendo peccato e la avvolgeva un turbamento tale da indurla a rifiutare gli slanci amorosi del marito.

Intanto Filippo, impegnato nei viaggi per le molte province aveva iniziato a non farsi seguire da Giovanna che, in costante conflitto tra attrazione e ritegno e percossa dal sospetto che il marito non esitasse a soddisfare altrove la sua vitalità, manifestò i primi segni di un forte risentimento e di una morbosa gelosia. 

 

 

c.   I passaggi della successione

Nel gennaio 1497 Margherita d’Asburgo (Margot), con la stessa flotta che aveva condotta Giovanna nei Paesi Bassi, era partita per sposare, nell’aprile 1497, l’infante di Spagna e principe delle Asturie, Giovanni, che spossato dal desiderio d’amore della moglie, morì nell’ottobre dello stesso anno. Margot qualche mese dopo partorì un bambino nato morto, sollevando per i re cattolici gravi problemi di successione.

 Filippo, considerata la mancanza di un erede maschio delle corone di Castiglia ed Aragona, anticipò le mosse dei suoceri e autonominò “principe delle Asturie”, titolo spettante unicamente all’erede al trono di Castiglia. Ferdinando ed Isabella per eludere l’iniziativa del genero Filippo, nominarono erede la figlia maggiore Isabella che, dopo la morte del primo marito Alfonso, aveva sposato Emanuele di Braganza, successore sul trono del Portogallo. La nomina non trovò il consenso delle cortes che attribuivano ai soli figli maschi il diritto di successione. Il problema si risolse con la nascita del primo nipote dei re di Spagna, Miguel, figlio di Isabella del Portogallo che morì mentre lo metteva al mondo. Emanuele di Braganza, dopo la morte della moglie Isabella, ottenne  di sposare la sorella minore di questa, Maria, unica ancora non accasata.

Giovanna, in attesa della nascita della prima figlia Eleonora (questa diverrà regina del Portogallo a seguito delle nozze con Emanuele I e poi regina di Francia per le seconde nozze con Francesco I di Valois-Angouleme) che si verificò nel novembre 1498, oltre alle luttuose notizie che le pervenivano dalla Spagna, trovava, nell’indifferenza del marito e nella solitudine cui era costretta dalla mancanza di contatti con persone affidabili, fondati motivi per estraniarsi e cadere progressivamente in una forma depressiva che la distoglievano dal contesto familiare e sociale. La nascita della figlia Eleonora non fu accolta favorevolmente da Filippo che, dopo un temporaneo avvicinamento affettivo alla moglie, riprese più frequentemente a mantenersi lontano da lei, nella misura in cui questa rendeva più evidente il suo disappunto. Ella, nel tentativo di recuperarne l’affetto, si sottoponeva ai voleri del marito che, per sfuggire alle manifestazioni di gelosia divenuti sempre più frequenti, la costringeva ad una solitudine ancor più rigida e la oltraggiava con approcci irrispettosi in cui il ricorso alla violenza ed a pubbliche offese per ottenere prestazioni sessuali non erano infrequenti. La sensazione di essere divenuta passivo strumento alla ricerca di un erede indusse Giovanna a trascurare la cura della persona e ad appesantire la sua giovanile ed esile figura. Ed alla consapevolezza di non poter vantare nei riguardi della madre una personale affermazione si sovrapponeva il rimorso di non aver risposto alle attese di lei, considerazione che accentuò il suo stato depressivo a cui si sovrapponevano frequenti manifestazioni di isterismo.

Il frate Tommaso di Matienzo, inviato dalla regina Isabella presso la figlia per recuperarla ai suoi insegnamenti, non mancava di informare del malessere di Giovanna la corte spagnola dove il re Ferdinando non disdegnava che si diffondesse la convinzione che l’isterismo della figlia potesse renderla inidonea alla successione. Anche se mancavano le valutazioni di segno opposto come quella dell’ambasciatore inglese alla corte belga che riteneva Giovanna tanto equilibrata ed influente da attribuirle il merito dei migliorati rapporti con la corte di Bruxelles.

Filippo si era trasferito nella fortificata Gand con l’indifferente Giovanna in attesa di partorire per la seconda volta. Nel febbraio del 1500, nacque il figlio Carlo, dal come del nonno paterno Carlo “il Temerario”.

Il luglio successivo la nascita di Carlo era morto il cuginetto Miguel, l’erede maschio destinato alla successione. Il figlio di Giovanna, Carlo, diveniva quindi il nuovo destinatario degli immensi domini dei re spagnoli i quali sollecitarono l’arrivo in Spagna del nipote per potere essere presentato alle cortes di Castiglia e di Aragona. Filippo, arciduca di Borgogna e destinato a succedere al padre Massimiliano in qualità di sovrano d’Austria ed imperatore del Sacro romano impero, vedeva così inaspettatamente pararsi la possibilità di impossessarsi dei domini spagnoli, attraverso la successione che avrebbe coinvolto la moglie Giovanna ed il figlio Carlo. Eventualità che concentrava su di lui l’attenzione di tutte le più potenti corti europee.

Giovanna, in attesa della terza figlia Isabella, nata nel luglio 1501 (questa diverrà regina di Danimarca sposando Cristiano II di Oldenburg), nell’apprendere che sarebbe divenuta regina di Spagna, si sentì investita di una nuova responsabilità nei riguardi del suo paese d’origine che la rese più sospettosa nei riguardi delle trame politiche del marito Filippo che nascostamente manteneva contatti tendenti a privilegiare la Francia, nazione in competizione con la Spagna. Intreccio che divenne motivo di animose discussioni fra i due che si trasformarono in violente scenate allorché Giovanna apprese della nascosta trattativa condotta del marito per concordare una promessa di nozze del figlio Carlo con Claudia, la neonata figlia del re di Francia, Luigi XII. In questo contesto di ambiguità e nel timore che si consolidassero altri approcci contrari agli interessi spagnoli si colloca la decisione dei reali di Spagna di affrettare le nozze della propria figlia più giovane Caterina con il promesso sposo, il principe di Galles Arturo, a cui Filippo aveva tentato di proporre quale sposa la sorella Margherita, vedova del cognato Giovanni di Castiglia.

 

Giovanna venne convocata in Spagna dalla madre per assolvere a passaggi formali riguardanti la successione ed alla fine del 1501 si mise in viaggio accompagnata dal marito e dal consigliere inviato dai genitori, il vescovo di Cordova, don Giovanni de Fonseca. Assorbita nel suo rango e funzione di principessa ereditaria di Castiglia ed adeguandosi al fiero modello materno, Giovanna, nel corso dell’attraversamento della Francia e dei contatti con i reali di Francia, si infastidì per la sospettosa accondiscendenza del marito verso di essi ed assunse di conseguenza un atteggiamento altezzoso che fu motivo di diverse inadempienze protocollari.

All’arrivo in Spagna i due principi furono accolti con familiarità ed onorati con splendidi festeggiamenti. Giovanna fu riconosciuta legittima erede dalle cortes castigliana ed aragonese, da quest’ultima con la limitazione che ove Ferdinando avesse avuto un altro figlio legittimo, su quest’ultimo si sarebbe dovuto trasferire il privilegio ereditario. Per il resto il soggiorno fu pieno di incomprensioni, sospetti e ripicche da ambo le parti. E Giovanna, afflitta da una nuova gravidanza e dalla lontananza dei tre figli, addolorata dalle precarie condizioni di salute della madre e dalla mancanza di sicuri riferimenti e preoccupata dai disinvolti contatti del marito di cui temeva restasse irretito dalle fazioni avverse ai genitori, viveva in uno stato ansia e di irritazione che esprimeva con plateali aggressioni al marito. Tuttavia, al momento del rientro nelle Fiandre, i genitori di Giovanna, senza sentire il suo parere e nella convinzione che ella si sarebbe dovuta fermare nel paese dove sarebbe diventata regina, convinsero Filippo a lasciare la moglie in Spagna fino al prossimo parto. Giovanna che non aveva alcuna intenzione di lasciarlo partire il marito senza di lei, accusò pesantemente il marito e visse con disperazione il suo abbandono perché Giovanna che accusò pesantemente il marito per non essersi opposto a tale richiesta e visse con disperazione il suo abbandono perché, malgrado i rapporti sovente tempestosi, era più interessata alla vicinanza del marito che agli affari di Stato. Giovanna, stressata per l’attesa del quarto figlio, vedendo inascoltati i suoi desideri anche da parte dei suoi genitori cadde in una profondo scoramento. Nel marzo 1503, la nascita del quarto figlio, Ferdinando, peggiorò le condizioni psichiche di Giovanna che implorava fosse messa in condizione di raggiungere il marito e rammentava alla madre, che l’accusava di anteporre la vicinanza del marito a tutto, come anche essa in gioventù fosse caduta in depressione per gelosia.

 

La regina Isabella da tempo appariva sofferente per il malanno che l’aveva colpita nell’apparato genitale e, conscia del suo precario stato di salute, aveva scelto il vescovo di Toledo, il cardinale Francisco Jimenez de Cisneros, ad affiancarla nel governo e a far apprendere a Giovanna il mestiere di regina. Isabella si era quindi trasferita nell’alcazar di Segovia conducendo con se il neonato nipote e la figlia le cui condizioni psicofisiche erano peggiorate dopo il parto e che, rifiutando ogni spiegazione intesa a motivare gli ostacoli alla sua partenza, si riteneva prigioniera. Da Segovia Giovanna si spostò presso il castello della Mota presso Medina del Campo, messole a disposizione dalla madre, dove la sollecitazione a rientrare col figlioletto a Bruxelles, pervenutale dal marito, aveva contribuito a restituirle un inatteso ottimismo. Giovanna aveva predisposto tutto per la partenza ma Isabella, attraverso i suoi intermediari (i vecovi de Fonseca e de Cisneros) con diverse motivazioni ed espedienti impedì la partenza della figlia. In sostanza, malgrado la sua ardente volontà e le ripetute sollecitazioni del marito e del figlio Carlo (aveva quattro anni) Giovanna fino al marzo 1504 non riuscì a lasciare la Spagna. Desiderio che si poté realizzare solo quando Isabella cedette di fronte allo stato di prostrazione e di smarrimento della figlia e ponendo la condizione che ella lasciasse in Spagna il figlio Ferdinando. Giovanna partì rompendo i rapporti con la madre e desiderosa di riabbracciare il marito, ignara della cocente delusione che l’attendeva all’arrivo allorché apprese che egli si era legato ad una bella e giovane dama. Il pettegolezzo, accertato, divenne motivo di clamorosi, pubblici ed imbarazzanti, litigi a cui Filippo reagì villanamente disponendo la segregazione della moglie e cercando di accreditare come manifestazioni di disaggio mentale quelle che erano tumultuose reazioni al disinteresse verso la sua persona ed alle sue opinioni. All’emarginazione cui fu costretta si aggiunse il tormento per la sottrazione dei primi tre figli, Eleonora, Carlo ed Isabella, inviati a Gand ed affidati alle cure di madame de Halevin, cui era stato ordinato di allevarli secondo la cultura fiamminga senza alcun riferimento a quella spagnola. Ed ai reali di Spagna che, dettagliatamente informati, intervenivano con i loro ambasciatori presso Filippo, questi rispondeva che le informazioni che giungevano loro erano soltanto calunnie volte a metterlo in cattiva luce.

Isabella si era ritirata per finire i suoi giorni a Medina del Campo, luogo di origine della sua famiglia. Nell’ottobre del 1504 aveva redatto il suo testamento “Ordino e comando che erede universale di tutti i miei regni (quelli di Castiglia, Leon, Granada) e terre (quelle d’oltre oceano) sia la mia illustrissima figlia Giovanna … erede e successore legittimo che, alla mia morte, riceverà il titolo di regina. … Ordino inoltre che di mia figlia si innalzino gli stendardi e le insegne con la solennità ed il fasto …. e che si tributi la medesima riverenza e fedeltà e obbedienza all’illustrissimo principe Filippo mio caro ed amato figlio”. Successivamente, informata dello stato di emarginazione in cui era costretta la figlia in Belgio, Isabella aveva aggiunto che “..nel caso Giovanna si trovasse lontana dalla Castiglia o impossibilitata a raggiungerla per una sua indisposizione” fosse a governare in sua vece il marito Ferdinando che comunque riconobbe la figlia “legittima proprietaria” di ogni bene che la regina le aveva trasmesso.

Isabella morì il 26 novembre 1504 e dispose di essere seppellita all’Alhambra di Granada.

 

 

 

d.   L’estromissione di Giovanna da parte del marito Filippo “il Bello”

Subito dopo la morte della regina Isabella sorse un aspro conflitto di attribuzione fra il proprio marito, Ferdinando II d’Aragona, ed il marito della legittima erede Giovanna, l’arciduca di Borgogna, Filippo “il Bello”. Questi, dal Belgio, si autoproclamò re di Castiglia e come tale si comportava inviando ambasciatori a rappresentarlo. Iniziativa che Ferdinando, sorretto dalle disposizioni testamentarie della moglie che lo designava “reggente” in assenza della figlia, non poteva accettare. E benché dagli ambienti più conservatori ed ostili ad ogni eventualità di reggenza straniera ricevesse sollecitazioni ad assumere direttamente la corona, egli si dichiarava soddisfatto di assumere la reggenza ed intenzionato a difenderla, non trascurando abilmente di fare riferimento ad una “malattia” della figlia. Stato “malattia” da tempo sussurrato e da nessuno accertato ma sufficiente a sollevare nelle cortes di Castiglia il timore della eventualità che un inesperto di affari spagnoli quale era il marito di Giovanna, Filippo, potesse essere investito della reggenza in presenza della moglie.

 

Filippo e Ferdinando, ciascuno intenzionato ad assumere il potere ereditato da Giovanna indipendentemente dal suo volere, cercavano vicendevolmente di destabilizzarsi. Il primo legandosi ad ambienti spagnoli ostili al suocero a cui, anticipandolo in iniziativa, aveva intimato di lasciare la Castiglia, dove Filippo con la moglie avrebbero dovuto trovarsi per poter vantare il diritto di reggenza. Ma Filippo era restio ad abbandonare il Belgio senza avere ricevuto la garanzia che la parte preponderante del clero e l’alta nobiltà spagnola riconoscessero lui, e non Ferdinando, reggente a nome di Giovanna. Ferdinando, da parte sua, agiva con discrezione inviando in Belgio il suo discreto e fidato ambasciatore Lope de Conchillos accompagnato dal vescovo de Fonseca per indurre la figlia Giovanna a firmare un documento che gli riconoscesse il potere di reggenza e che Giovanna firmò, o perché indotta dagli abili interlocutori o perché aveva assunto la convinzione che il padre, meglio del marito, avrebbe potuto curare gli interessi della sua nazione d’origine. Tuttavia il documento inviato in Spagna con un messaggero venne occasionalmente intercettato da Filippo che precluse della moglie ogni contatto coll’esterno e l’arresto di tutti gli spagnoli presenti nella corte belga. Condizione a cui Giovanna reagì pesantemente nei rapporti col marito ed altrettanto contro il padre allorché venne a conoscenza del tentativo di quest’ultimo di assumere la reggenza sfruttando la sua presunta “malattia” della figlia. In questa occasione ella non mancò di far pervenire (maggio 1405) in Spagna un messaggio dettato, come d’abitudine, al suo segretario in cui affermava “Dato che in Spagna mi considerano priva di senno, sarebbe opportuno che si rivolgessero a me per sapere se è vero. … Evidentemente c’è qualcuno che se ne serve come pretesto per governare i nostri regni”. Nello stesso messaggio Giovanna attribuiva la sua presunta “malattia” alla gelosia che, in gioventù, aveva angustiato anche sua madre che “poi guarì, come piacerà a Dio far guarire anche me”. Non fu difficile a Ferdinando gettare ombre sull’attendibilità del messaggio sostenendo che era stato elaborato da Filippo. Intanto Ferdinando, al fine di avere un erede maschio, cercava una nuova moglie che trovò in Germana di Foix, una donna brutta ed obesa ma nipote del re di Francia, Luigi XII, con cui Ferdinando aveva da anni comuni ma contrastanti interessi. Il contratto di matrimonio che prevedeva il versamento a Luigi XII di una forte somma, era soprattutto volto a bilanciare il rapporto preferenziale che quest’ultimo manteneva con il genero Filippo.

 

Ferdinando II d’Aragona, benché cugino del re di Napoli, Federico I, aveva pensato alla possibilità di inglobare nella corona d’Aragona il regno di Napoli, che attraversava un periodo di particolare debolezza. Analogo interesse nutriva il re francese Luigi XII che dopo aver conquistato il Ducato di Milano era interessato a procurarsi accessi nel centro del Mediterraneo. Con un accordo segreto (Accordo di Granada, 1500) i due sovrani dichiararono deposto Federico I e concordarono la spartizione del Regno di Napoli: la Campania e l’Abruzzo erano attribuiti a Luigi XII, mentre Calabria, Basilicata e Puglia a Ferdinando II. Luigi XII si insediò a Napoli ma successivamente tra i due contraenti l’accordo intervennero dissidi che sfociarono in una guerra. La Spagna, mossa dai suoi interessi nella già acquisita Sicilia e dal desiderio di potenziare il controllo del Mediterraneo, non poteva tollerare la presenza della Francia a Napoli. Le forze francesi in Italia, prive di rifornimento impedito dal controllo spagnolo delle vie marittime, dopo circa due anni di resistenza, furono sconfitte presso il Garigliano (1503). In base ad un nuovo accordo (Trattato di Lione, 1504), i francesi si stanziarono a Milano e Ferdinando II si impossessò anche del Regno di Napoli (divenendo re con il nome di Ferdinando III di Napoli) che collegò alla corona di Aragona ed amministrò attraverso viceré.

 

Il matrimonio di Ferdinando con la nipote del re di Francia aveva messo in difficoltà Filippo che tentò allora di riconquistare la fiducia della moglie. Ma Giovanna, tormentata e confusa dalle contrapposte sollecitazioni del padre e del marito, ma consapevole del proprio ruolo e decisa a non farsi sottomettere aveva maturato un atteggiamento diffidente verso entrambi. Quello verso il padre, di cui non aveva avuto modo di valutare direttamente il sentimento, era più sfumato in quanto il radicamento alla discendenza dinastica, la rendeva restia ad assumere qualsiasi iniziativa contraria alle prerogative del padre. Quello verso il marito, sovrapposto all’istintivo rifiuto verso tutto l’ambiente fiammingo in cui era costretta, la indusse a strappare tutta la documentazione che il marito le aveva sottoposto al fine di avvallare la sua reggenza.

 

Nel settembre 1505, Giovanna partorì per la quinta volta mettendo al mondo Maria (questa diverrà regina d’Ungheria e Boemia a seguito del matrimonio con Luigi II).

Filippo, incerto sulle iniziative da assumere, subiva opposte sollecitazioni e mentre i mercanti interessati a continuare indisturbati i loro ricchi traffici lo sollecitavano ad  insediarsi in Spagna la nobiltà fiamminga lo tratteneva timorosa che egli potesse incappare in qualche agguato. Alfine Filippo decise di recarsi in Spagna, iniziativa per la quale era indispensabile condurre con se la moglie. Preso atto del rifiuto da parte del re di Francia di consentirgli l’attraversamento dei suoi territori, egli dovette predisporre una imponente flotta di sessanta navi su cui imbarcò un contingente puntualmente armato di duemila lanzichenecchi per contrastare le paventate bellicose intenzioni di Ferdinando.

Nel corso di tutto il viaggio, iniziato nel gennaio 1506, Giovanna assunse un atteggiamento impassibile di fronte alle avversità che la navigazione invernale produceva e risoluto sia nei riguardi della corte inglese che l’aveva ospitata durante lo scalo in Inghilterra che verso quella fiamminga che l’accompagnava. Tre episodi che sono significativi del suo sentimento del suo orgoglio e della sua determinazione: nel corso di una furibonda tempesta in cui era incappata la flotta, Giovanna ebbe modo di dimostrare il suo attaccamento al marito allorché questi, rimasto privo di sensi a seguito di un colpo subito per lo sbandamento della nave, ricevette dalla moglie istintive ed amorevoli cure; durante la sosta in Inghilterra, a Windsor, ella era apparsa elegante e regale ed, intuendo che il marito aveva scambiato con il re Enrico VII intese avverse al padre, aveva assunto un atteggiamento di distacco e disapprovazione; prima dello sbarco in Spagna, Giovanna, accortasi che il marito Filippo aveva fatto imbarcare di nascosto una quarantina di dame fiamminghe che avrebbero dovuto scortarla e soprattutto isolarla, si rifiutò di mettere piede a terra fino a quando le dame non vennero rispedite in Olanda. Nel corso del soggiorno in Inghilterra Giovanna incontrò la sorella minore Caterina che, vedova del principe di Galles, Arturo, e promessa al cognato e successore Enrico VIII che la sposò dopo anni per quindi ripudiarla, viveva emarginata e senza appannaggi. Nulla fece o poté fare in sostegno della sorella.

 

All’arrivo in Spagna Filippo, volle evitare l’approdo programmato a Loredo, dove la flotta era attesa dalla più importante nobiltà spagnola convocata da Ferdinando, per approdare a fine aprile nel porto di La Coruna. Qui Giovanna, sfoggiando il lutto per la scomparsa della madre, venne accolta e festeggiata ma tradì le attese delle autorità rifiutando di confermare i privilegi di cui godevano, almeno fino a quando non si fosse consultata con il padre. Alle sue spalle intanto di svolgeva da parte dei vari potentati un gioco di posizionamento a favore di uno dei due aspiranti alla reggenza e Filippo reaccoglieva un crescente consenso mentre Ferdinando pagava il rancore dei castigliani che lo detestavano fin da quando era in vita la loro amata regina Isabella ed ancor più ora per averla così velocemente dimenticata per contrarre un nuovo matrimonio. Ferdinando, rendendosi conto di doversi fronteggiare con un contendente deciso e fortemente sostenuto da una autorevole fazione castigliana, tentò di proporre un governo a tre (Giovanna, Ferdinando e Filippo), sdegnosamente respinto da Filippo che tuttavia accettò di incontrarlo a Villafafila. Era il 26 giugno e Filippo, per non nascondere le sue bellicose intenzioni, si presentò accompagnato dalle sue armate e dagli alleati castigliani che lo avevano militarmente e finanziariamente sostenuto e che, nell’occasione, cercavano di nascondere il loro imbarazzo nei riguardi Ferdinando che li accolse un sarcasmo. Questi, scaltramente presentatosi accompagnato soltanto da un piccolo drappello di dignitari, cercò di stabilire diplomaticamente un rapporto familiare con il genero accogliendo con un “carissimo figlio” malgrado egli venisse a contendergli quella Castiglia per il cui potenziamento aveva lungamente combattuto. I due si appartarono in una chiesa dove concordarono un documento in cui Ferdinando riconosceva la reggenza della Castiglia a Filippo che aveva preteso di inserire nel documento un passaggio con cui si arrogava il potere di governare in quanto la moglie non era in condizioni di farlo: “Conviene sapere come la serenissima regina, nostra moglie, in nessun modo si vuole occupare né intendere in nessun genere di governo. E che anche se volesse farlo, date le sue malattie e passioni, che qui non vengono menzionate per correttezza, questo significherebbe la totale distruzione e perdita di questi regni”. Gli eventi costrinsero Ferdinando a convenire ma subito dopo non mancò di seminare discredito verso gli Asburgo informando tutte le corti di Europa di un accordo strappato con la forza. Quindi parti per visitare il suo regno di Napoli.

 

Giovanna incinta per la sesta volta si mostrava agile e reattiva e, nell’apprendere dell’accordo, manifestò furente il suo disappunto lanciando minacce di morte verso tutti i notabili spagnoli sostenitori del marito che, sottilmente, le fece notare come nemmeno il padre avesse tenuto in alcun conto le sue prerogative. Ella avrebbe voluto incontrare il padre a cui cercava di recapitare missive immancabilmente intercettate e recapitate a Filippo che le precludeva ogni possibilità di contatto. Egli aveva convocato le cortes a Valladolid per ricevere l’investitura e far dichiarar Giovanna incapace di intendere onde aver la possibilità di rinchiuderla in un castello. Eventualità non osteggiata dal vescovo Jimenez de Cisneros, il consigliere della regina Isabella che aveva abbracciato gli interessi di Filippo, ritenendo questa scelta la più idonea a conferire maggior stabilità alla Castiglia. Intanto si diffondevano voci che, tendenti a descrivere Giovanna non pazza ma segregata, venivano accolte da nobili spagnoli, tra cui Pedro Lopez de Padilla, pronti a minacciare azioni per liberare Giovanna. A Filippo era stato sconsigliato di negare alle cortes la presenza di Giovanna che, vestita di nero, era apparsa in tutta la sua regalità e, pur se si sforzava per apparire disinvolta, tradita un lieve nervosismo. Le cortes avevano giurato fedeltà alla “regina Giovanna, nostra signora naturale” ed al suo sposo, riconoscendo “legittimo successore il principe Carlo che, alla maggiore età avrebbe governato insieme con la madre fino alla fine della vita di quest’ultima”. Filippo, preso atto della delibera delle cortes, cercò di consolidare il potere affidando a suoi fedeli le maggiori responsabilità ed il comando delle posizioni strategiche mentre Giovanna era fermamente decisa a non permettere che i fiamminghi governassero sul regno di Castiglia. Il 7 settembre 1506, allorché il corteo regale di Giovanna e Filippo era davanti alle mura di Burgos in procinto di entrare attraverso la porta principale, Giovanna intimò di posizionare davanti alla sua mula bianca e non davanti al marito lo stendardo rosso di Castiglia ed entrò per prima in una città stremata da recenti pestilenze e spaventata dalle aggressioni delle truppe fiamminghe. Giovanna scelse di risiedere nell’antico palazzo che aveva ospitato la madre nelle sue soste a Burgos ed a quel tempo abitato dal cognato Pedro Hernandez de Velasco, marito della sorellastra, illegittima del padre. Giovanna viveva circondata da guardie che praticamente la tenevano prigioniera.

Il marito risiedeva altrove ed, intuendo l’ambiente a lui ostile e favorevole alla moglie, si muoveva con prudenza e scortato. Il 14 settembre dopo aver trascorso una serata allegra, aveva voluto partecipare ad una partita di pallone da cui ne era uscito spossato e perdente. Nei giorni successivi Filippo accusò vari disturbi e le sue condizioni peggioravano vistosamente per cui fu avvertita Giovanna che dispose di portarlo a palazzo ed, accantonando tutto quanto politicamente la divideva da lui, lo assistette amorevolmente isolandolo nel timore che potesse essere avvelenarlo. Già giravano voci in tal senso e qualcuno ne rivendicava la paternità dell’iniziativa mentre i fiamminghi indirizzavano i loro sospetti su Giovanna. Questa, senza mai abbandonare il marito, convocò i più stimati medici, le cui pratiche non servirono a migliorare le condizioni dell’infermo. I partigiani di Ferdinando intanto avevano posto sotto assedio la città mandando in confusione i fiamminghi che smisero il loro atteggiamento da invasori per cercare di impossessarsi di quanto più potevano e lasciare la Spagna frettolosamente. Si delineava il pericolo di guerra civile ed i nobili sostenitori delle due parti si incontrarono, il 24 settembre, per concordare che nessuno avrebbe tentato di imprigionare la regina ed il figlio Ferdinando, né di condizionare la sua volontà. Essi, concordi nello scongiurare una invasione straniera, si accordarono sull’amministrazione degli affari correnti affidando la reggenza a Jimenez de Cisneros per prevenire qualche eventuale iniziativa dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo. Questi, informato delle condizioni del figlio, avrebbe potuto rivendicare per se la reggenza a nome del nipote Carlo, il figlio maggiore di Filippo e Giovanna. Il figlio minore Ferdinando, nato in Spagna, era stato nascosto in via precauzionale a Valladolid. Il 25 settembre Filippo morì (peste o avvelenamento?) dopo aver dato disposizione di essere seppellito a Granada, accanto alla suocera. Egli aveva mantenuto solo per pochi mesi un potere che, attraverso intermediari come Juan Manuel, era da lontano indirizzato dal padre Massimiliano.

Giovanna pianse il marito accusando il colpo e mostrando accanto alle manifestazioni d’amore e di dolore un disperato isterismo che sconcertò i presenti. La salma di Filippo era stata frettolosamente imbalsamata e rinchiusa in una cassa di piombo inserita in una di legno. Dopo la frettolosa cerimonia funebre Giovanna diede disposizione di non inumare la salma che ella avrebbe accompagnato a Granada dopo la nascita della creatura che teneva in grembo e l’arrivo del padre, cui erano stati inviati messaggeri a Napoli per informarlo degli eventi.

Un cronista fiammingo scriveva di Giovanna “.. senza dubbio era buona, amorevole, degna di essere amata dall’uomo migliore del mondo; mentre l’uomo più bello e gentile e perfetto del mondo sarebbe dovuto essere felice di amarla perché la regina era la più bella ed affascinante signora che si potesse immaginare. E però, mentre da quel corpo mirabile nascevano figli belli, gentili, intelligenti, nella sua mente entrava il tarlo malefico della gelosia tanto forte da offuscarle per sempre il pensiero e ridurre una così gentile, giovane e bella creatura schiava di un perpetuo delirio amoroso e di una inestinguibile collera che in tre anni l’avevano condotta completamente fuori di se ... In verità quella dolorosa passione non aveva senso: La giovane moglie non aveva infatti saputo accettare che il principe gentile, giovane, bello, vivesse circondato da persone che continuamente gli offrivano donne e tutti gli altri piaceri della carne. …” (Viaggio dei reali arciduchi in Spagna nel 1506). Pedro de Torres, d’altro canto annotava “ .. è morto don Filippo. Dicono che fosse un gran mangiatore e bevitore, dedito ad amorazzi ... che tenesse sua moglie in prigionia, che non permettesse a nessuno di vederla e non le faceva né vedere né firmare carte di governo ..” (Appuntamientos).

 

Nei giorni che seguirono Giovanna mostro tutta la sua impreparazione a gestire una fase così delicata. Da quando aveva lasciato la Spagna per il matrimonio ella era stata sempre tenuta isolata, lontana dalle decisioni e sovente disinformata. I ripetuti e contrapposti tentativi di condizionamento subiti sia da parte dei genitori, attraverso loro inviati, sia da parte del marito, attraverso un rigoroso controllo delle sue attività, l’avevano resa particolarmente diffidente. Mentre nessuna delle persone che le era stata messa accanto, a parte le ancelle moresche da lei scelte, aveva riscosso la sua fiducia. In quel frangente Giovanna, sentendosi circondata da personaggi sleali ed in attesa dell’arrivo del padre, provvide a revocare quanto il marito aveva disposto in favore dei suoi fedeli, espellendo i fiamminghi dal consiglio di reggenza e sospendendo le retribuzioni all’entourage spagnolo di Filippo. Intanto non convinta dell’affidabilità di Jimenez de Cisneros si rifiutò di firmare gli atti che le sottoponeva, tra cui quelli per la normale amministrazione, la convocazione delle cortes e la nomina di vescovi che non conosceva. Ed, alla obiezione che la salute spirituale della città, priva dei suoi pastori, sarebbe stata compromessa, aveva ribattuto che la salute spirituale sarebbe stata maggiormente compromessa dalla nomina di personaggi indegni. Ella così si dibatteva fra opposte sollecitazioni mentre uno sconcertante episodio contribuì ad alimentare il mormorio sui suoi strani comportamenti: dopo circa un mese Giovanna andò a visitare la salma del marito e dopo aver ordinato di aprire le casse che la contenevano, nella penombra della certosa di Miraflores cominciò a rovistare nel feretro fatiscente del marito che invocava e carezzava teneramente fino a che, dopo aver emesso un urlo nel constatare come esso fosse stato straziato dalle pratiche di imbalsamazione, fu, in uno stato di incoscienza, strappata a forza dalla salma. Dopo di che si dilatarono, opportunamente veicolate, le voci dei suoi strani comportamenti.

Gli ambienti di corte riferivano di una Giovanna che, solitamente austera e riservata, in quel periodo era inquieta ed agitata, si aggirava discinta e si comportava come se avesse perso ogni contatto con la realtà. Molti sostenevano la sua pazzia mentre altri puntavano il loro apprezzamento citando la sua intelligenza “superiore a quella della madre Isabella”. Giovanna convocò gli antichi consiglieri della madre ed estromise il reggente de Cisneros, creando una situazione caotica in cui prendevano forma, per contrapporsi, fazioni che si riconoscevano o nei nobili andalusi o in Jimenez de Cisneros o in Juan Manuel, sostenitori rispettivamente di Giovanna, del padre Ferdinando e del suocero Massimiliano d’Asburgo. La fazione solidale con quest’ultimo premeva per assicurare agli Asburgo la reggenza in nome del giovane Carlo mentre le altre due fazioni, richiamandosi agli interessi della nazione spagnola, solidarizzavano per contrastare le mire degli Asburgo. Una situazione di totale anarchica in cui i potenti di Spagna in contrasto con la monarchia si appropriavano di feudi su cui ritenevano di vantare diritti e le nazioni limitrofe riflettevano su progetti di aggressione ad una nazione in preda al disordine, indifesa e saccheggiata dai fiamminghi in fuga.

Giovanna, titolare di una prestigiosa corona, era divenuta presso tutte le corti d’Europa una ambitissima vedova. Molti erano i suoi pretendenti ma ella viveva nell’attesa dell’arrivo del padre nella convinzione che l’avrebbe guidata ad assumere le responsabilità di regina mentre cullava il desiderio di accompagnare la salma del marito per la tumulazione a Granada.

 

 

 

e.   L’estromissione di Giovanna da parte del padre Ferdinando II d’Aragona

Alla fine di dicembre Giovanna, in prossimità dell’attesa del sesto figlio, per sottrarsi all’eventualità di essere oggetto di un rapimento, assieme al figlioletto Ferdinando aveva lasciato nottetempo Burgos per sostare a Torquemada, sulla strada diretta a Valladolid. L’accompagnava un piccolo corteo di cui, oltre alla servitù, facevano parte il segretario Juan Lopez ed un emissario del padre, Luis Mosen Ferrer, incaricato di informarlo dettagliatamente degli eventi. Si portava dietro il feretro del marito a cui Giovanna non permetteva si avvicinasse alcuna donna e lo faceva custodire da guardie armate da lei personalmente scelte.

Durante la sosta a Torquemada, Giovanna partorì (14 gennaio 1507) la sua ultima figlia Caterina. Quindi per sfuggire al dilagare della peste la corte di Giovanna si spostò nel vicino borgo di Hornillos dove ella, afflitta da mancanza di risorse ma rimessasi fisicamente in forma e sorprendentemente serena e lucida, riceveva numerosi nobili spagnoli e restava in attesa dell’arrivo del padre Ferdinando. Questi in luglio era sbarcato in Spagna e, col denaro che raccoglieva fra i suoi sostenitori, assemblava un contingente militare coll’intento di cacciare Juan Manuel, l’uomo di fiducia di Massimiliano che controllava il territorio di Burgos. Alla fine di agosto a Tortoles, Ferdinando incontrò la figlia che salutò con un affettuosissimo abbraccio e si mosse con l’intento di strapparle la dichiarazione in cui ella rinunciava ad esercitare il ruolo di regina. Nei giorni successivi Ferdinando incontrò molti tra i più influenti nobili di Spagna senza mai far partecipare la figlia ai colloqui. Osservando ciò Giovanna si rese amaramente conto che anche la fiducia riposta nel padre era infondata. Nessuno le parlava ed ella si sentiva emarginata come al tempo in cui, presso la corte fiamminga, aveva iniziato la vana battaglia per l’affermazione delle sue prerogative. Ferdinando riteneva che finalmente fosse giunto il momento di governare in prima persona la Castiglia senza dover più subire la supremazia della moglie Isabella. Un momento che Ferdinando non intendeva lasciarsi sfuggire e pertanto era deciso ad assumere ogni iniziativa. Egli si era reso conto che mai avrebbe convinto la figlia in cui riviveva la proverbiale fierezza materna, a convocare le cortes per formalizzare la sua rinuncia a regnare, per cui al fine di predisporsi le motivazioni per sostituirla, inviò presso tutte le corti d’Europa messaggeri per informarle che “Dona Juana es loca”.

Giovanna, con i figli Ferdinando e Caterina e la bara del marito al seguito, si era trasferita in una modestissima casa in un villaggio poverissimo, Arcos dove si fermò per un intero anno. Ferdinando che andava a trovarla per farle firmare iniziative legislative le aveva messo accanto persone fidate per controllarla e riferirgli eventuali stranezze nel suo comportamento. Nel luglio del 1508, Giovanna, avvertita della sparizione del figlio Ferdinando, pensò che le fosse stato sottratto dai fiamminghi e temendo di non rivederlo più come le stava accadendo per quattro dei suoi figli, cadde in una profonda depressione esternando le abituali manifestazioni di quelle evenienze, aggravate dal decadimento fisico causato dalle ravvicinate gravidanze. Digiunava per poi ingolfarsi di tutto quanto trovava in giro, passava le notti insonni a girare per casa prima di crollare per terra sfinita, non curava la persona ed andava incontro a crisi febbrili. Allorché la informarono che il bambino era stato portato via dal nonno comprese che il fine era di costringerla ad assecondare i suoi progetti. E quando Ferdinando seppe che la figlia, protraendosi nelle attuali condizioni, sarebbe potuta morire, egli si precipitò a riportarle il bambino, convinto  non tanto dal sentimento umano e paterno ma dal timore che la morte della figlia avrebbe definitivamente spostato il diritto di reggenza della Castiglia verso un Asburgo che lo avrebbe esercitato per conto del legittimo destinatario, il giovane nipote Carlo, figlio di Giovanna. Ferdinando, nel febbraio 1509, ricondusse il bambino presso la figlia che, avendo trovato in miserevoli condizioni di prostrazione: incapace di parlare, in preda a tremolii e movimenti ripetitivi, decise di trasferire presso il castello di Tordesillas, un antico borgo sede di nobili famiglie e nodo stradale per le più importanti città spagnole. Per indurla ad accettare il trasferimento le fece credere che quella fosse una tappa intermedia verso Granada dove ella intendeva recarsi per tumulare la salma del marito. In quello stesso gelido mese di febbraio accompagnò a Tordesillas Giovanna con la piccola Caterina affidata ad una dama, Maria de Ulloa, e con al seguito il feretro di Filippo che venne deposto nel convento di Santa Clara. Tenne con se il nipote Ferdinando che intendeva addestrare alle funzioni di re.

Giovanna ed il seguito furono sistemati in una abitazione in cui solo la camera a lei destinata era stata giustamente arredata mentre tutto il resto rimase disadorno. Ferdinando affidò il controllo della residenza ad un manipolo di guardie e la gestione della stessa al fedele servitore Luis Ferrer a cui aveva intimato di impedire a Giovanna ogni contatto con l’esterno ed ogni rapporto con i figli lontani. Giovanna si accorse della sua condizione di prigioniera non potendo uscire né per recarsi al convento delle clarisse né al santuario di Nostra Signora de la Pena.

 

Re Ferdinando, dopo aver avviato una guerra in Nordafrica per la conquista di Orano, Tunisi e Tripoli (1408-1511) ed aver acquisito ed annesso alla corona aragonese (1513) la bassa Navarra (a sud dei Pirenei; v. prologo) aveva emarginato le frange andaluse sostenitrici della figlia Giovanna.

Dopo la perdita del figlio appena nato dalla seconda moglie (1509), Ferdinando aveva perso le residue speranze di avere, secondo il pronunciamento della cortes castigliana, un  diretto successore maschio sul regno di Castiglia ed era caduto in un periodo di disinteresse e di apatia che lo costrinse a confermare la reggenza della i Castiglia ad Jimenez de Cisneros e nominare per l’Aragona l figlio naturale Alfonso, vescovo di Saragozza. Egli aveva coltivato l’intenzione di affidare la reggenza dei due regni al nipote Ferdinando in assenza del fratello Carlo ma, paventando di sollevare fra i due un contrasto che avrebbe potuto far sorgere una guerra civile, desistette dall’idea. Lasciò la disposizione di essere seppellito a Granada accanto alla moglie Isabella, senza fare alcuna menzione per Giovanna se quella di non informarla della sua morte. All’età di sessantaquattro anni morì il 23 gennaio del 1516.

La regina di Castiglia, Giovanna, riceveva così in eredità dal padre i regni di Aragona, di Sicilia e di Napoli. Una eredità su cui si stendevano le pretese del figlio maggiore Carlo mentre a Bruxelles, durante la celebrazione delle esequie di Ferdinando, si acclamava a “donna Giovanna e suo figlio don Carlo, re cattolici”. E quando di ciò ne fu informata, Giovanna, ella precisò “Errato, Carlo è solamente un erede. La regina sono io”.

 

Dopo la scomparsa di Ferdinando, Jimenez de Cisneros, valoroso teologo, uomo rigoroso, onesto amministratore e fedele servitore del suo paese dove aveva promosso diverse opere tra cui la fondazione della prestigiosa Università di Alcalà de Henares, aveva allontanato il custode di Giovanna, Luis Ferrer nominato da Ferdinando, per sostituirlo con il governatore Hernan de Estrada, prevenendo il tentativo di Carlo di Gand di nominare un fiammingo. Estrada provvide ad impreziosire e rendere confortevole il castello abitato da Giovanna che fu arredato con i tanti raffinati e preziosi mobili ed arredi di Giovanna a cui vennero anche restituiti i preziosi gioielli del suo vasto corredo che era stato consegnato al Ferrer e mai utilizzato.

Alfine Giovanna poté utilizzare la parte migliore del castello nobilmente restaurato e ristabilire il personale ed intimo rapporto con la figlia Caterina, senza più la limitazione di presenze estranee, ed ebbe possibilità di muoversi liberamente recarsi al santuario ed al convento a far visita alla tomba del marito.

 

 

 

f.     L’estromissione di Giovanna da parte del figlio Carlo V

 

 

Carlo di Gand/Carlo V

 

Carlo, il primo figlio maschio di Filippo e Giovanna, era stato fin dalla nascita sottratto alla madre ed assieme alle sorelle Eleonora, Isabella e Maria, affidati alle cure di madame de Halevin che li allevò secondo la cultura e gli usi borgognoni alternativamente nei castelli di Gand e Malines. Essi vennero quindi affidati alla zia, granduchessa Margherita d’Asburgo, sorella di Filippo “il Bello”. Margherita, rimasta vedova dell’infante di Castiglia ed Aragona, Giovanni (1497), dopo poco tempo sposò il duca Filiberto II di Savoia, scomparso nel 1504. A seguito della morte del fratello Filippo “il Bello”, Margherita, stabilitasi a Malines, ricevette dal padre Massimiliano d’Asburgo la delega (1507) per la reggenza dei Paesi Bassi in attesa della maggiore età del nipote Carlo che a quel tempo aveva sette anni. Ella si dedicò alla cura dei nipoti, figli del fratello e di Giovanna, alla cui sorte mai rivolse la sua attenzione.

 

Margherita, donna colta, concreta, arguta ed intelligente, amante delle arti, si circondò di letterati e riunì ricche collezioni e numerosi manoscritti ed affrontò con impegno il ruolo di tutrice dei nipoti, dalla cui madre erano stati ormai allontanati per sempre. Rifiutò nuove proposte di matrimonio per mantenere la reggenza dei Paesi Bassi fino al 1515 e quindi tra il 1518 ed il 1520. Ella, particolarmente abile nel condurre le trattative diplomatiche, riuscì ad operare in maniera da far eleggere (1519) imperatore del SRI il nipote Carlo che riuscì a prevalere su pretendenti del calibro di Enrico VIII d’Inghilterra e Francesco I di Francia. Per ottenere questo risultato Margherita era riuscita a trovare l’appoggio dei grandi banchieri tedeschi, tra cui quello di Augusta che gli aveva prestato un milione di fiorini, e ad utilizzare tutto l’oro che giungeva in Spagna dal nuovo mondo, per pagare i sette grandi elettori imperiali (i vescovi di Magonza, Colonia, Treviri ed i principi di Boemia, Palatinato, Sassonia e Brandeburgo). Carlo assunse il nome di Carlo V, con cui viene ricordato. Nel 1522 Margherita riprese per la terza volta il potere con funzione di viceré, svolgendo una politica indipendente da quella del nipote, a cui però rimase sempre legata conducendo per lui importanti trattative (pace di Cambrai del 1529, da lei negoziata con Luisa di Savoia, e perciò detta delle Due dame).

 

Massimiliano andava spesso a trovare i nipoti per i quali aveva scelto ottimi maestri fiamminghi. Questi apprezzavano la forte volontà di Carlo il quale mostrava più attitudine per le pratiche equestri che per i libri ed Erasmo di Rotterdam, divenuto nel 1516 consigliere di Carlo, espresse perplessità in merito alle sue capacità intellettuali. Si esprimeva in francese, comprendeva poco il tedesco e per nulla lo spagnolo. L’arciduca Carlo, taciturno, dall’aspetto triste, si esprimeva con difficoltà per un difetto alla mandibola e, da bambino, manifestò qualche episodio epilettico. Fu affiancato da rappresentanti nominati dai due nonni ed affidato ad un dotto tutore, Adriano di Utrecht (futuro papa Adriano VI) che lo formò culturalmente, e successivamente ad un politico, Guillaume de Chièvres, che ebbe un grande ascendente sul giovane. Alla maggiore età Carlo si trasferì da Malines a Bruxelles assieme alla sorella maggiore Eleonora cui era molto legato. Ciò che non lo trattenne dal far troncare il rapporto amoroso di Eleonora con il conte palatino Federico di cui si era invaghita, in quanto ella era stata destinata alle nozze, politicamente utili, con il vecchio re del Portogallo, Emanuele I. Questi era rimasto vedovo di Isabella e poi di Maria, sorelle della madre Giovanna e zie di Eleonora. Carlo, impostato secondo i principi e gli interessi borgognoni, non aveva avuto occasione di stabilire alcun legame affettivo con la madre di cui ne parlava in maniera formale senza mostrare alcuna affezione. Egli, educato a perseguire obiettivi di potere, non gradì la libertà che il reggente Jimenez de Cisneros aveva accordato alla madre Giovanna, titolare dei diritti dinastici, al punto da protestare duramente rimproverandogli l’accantonamento dell’inflessibile e crudele carceriere Ferrer.

Dopo la scomparsa (1419) del nonno paterno Massimiliano I d’Asburgo Carlo ereditò l’arciducato d’Austria che aggiunse a quanto già aveva ereditato (1506) alla morte del padre Filippo “il Bello” (Paesi Bassi e Borgogna) ed alla morte (1516) del nonno materno Ferdinando II (Aragona ed i regni di Napoli, di Sicilia e la Sardegna). Quanto ai domini della defunta nonna Isabella (regno di Castiglia, possedimenti in Africa e nuove colonie d’oltreoceano), restava legittima titolare la madre Giovanna mentre Carlo gestiva il potere effettivo, affidato in reggenza al cardinale de Cisneros a cui Carlo, dopo la morte del nonno Ferdinando d’Aragona, affiancò Adriano di Utrecht.

Carlo era quindi divenuto per eredità, titolare di immensi domini che ingrandì con l’aggiunta di Boemia, Moravia, Alsazia, Ungheria, ducato di Milano, con l’ampliamento dei possedimenti coloniali e con il rafforzamento dei legami con il Portogallo, attraverso il matrimonio con Isabella del Portogallo. Egli venne così a costituire un assetto imperiale esteso dall’Europa alle Americhe che si rivelò il più vasto della storia moderna.

 

Nel 1517, Carlo partì con la sorella Eleonora ed un imponente numero di navi e di cortigiani per visitare per la prima volta la Spagna. Lo cortes, diffidenti nei riguardi del giovane re di cui avevano ricevuto valutazioni poco rassicuranti (“di nessun valore”, “animoso e crudele”), erano impazienti di conoscerlo e, temendo che egli intendesse insediare maestranze fiamminghe, lo avevano informato della disposizione della nonna, regina Isabella, intesa a non fare assumere incarichi di governo agli stranieri. In quel delicato  passaggio istituzionale si verificò la scomparsa di un personaggio colto ed equilibrato quale era Jimenez de Cisneros ammalatosi nel corso del viaggio per incontrare Carlo. Con lui scomparve l’ultimo rigoroso custode della tradizione risalente alla regina Isabella e degli interessi della Castiglia al cui degno servizio trascorse quasi per intero la sua vita.  

Carlo volle subito recarsi a Tordesillas per incontrare la madre facendosi precedere dal consigliere Chèvres che trovò Giovanna invecchiata, tremolante e modestamente vestita. Ella, appena si accorse che si trovava di fronte ad un fiammingo, richiamò alla mente i tristi anni trascorsi in Belgio ed ebbe uno scatto d’ira prima di controllarsi ed informarsi dei figli che non vedeva da circa dodici anni. Le dissero che erano nel palazzo ed ella sollecitò “allora che entrino subito”. Carlo ed Eleonora, elegantemente vestiti, entrarono con il loro seguito al cospetto della madre di cui non ricordavano le sembianze. Giovanna emozionata abbracciò i figli, se li fece sedere accanto con amabilità li tempestò di domande. Carlo rispondeva ed Eleonora osservava la madre finché questa, preoccupata per il lungo viaggio che avevano affrontato, dispose per la loro sistemazione. Carlo ed Eleonora si fermarono per due settimane in una Tordesillas invasa da fiamminghi a cui venne riservata la presenza ad ogni cerimonia da cui erano esclusi gli spagnoli, compresa la regina Giovanna.

Carlo incontrò a Valladolid il fratello quattordicenne Ferdinando, cresciuto in Spagna e pertanto nel favore dei castigliani e degli aragonesi che premevano perché egli assumesse la reggenza. Prospettiva che, sovrapponendosi alla mancata rinuncia di Giovanna ai diritti dinastici, risultava non gradita a Carlo. Questi, nel tentativo di allontanarlo dalla Spagna, propose al fratello di recarsi in Belgio con la sorella minore  Caterina per conoscere la zia Margherita. Proposta che trovò la ferma opposizione di Giovanna, la quale, non informata, non ebbe modo di interferire successivamente allorché Carlo, sfruttando voci che attribuivano al giovane fratello un rapporto sessuale con la matrigna Germana di Foix, impose a Ferdinando di partire per visitare il Belgio.

Carlo, guidato dall’abile Guillaume di Chévres, si dedicò quindi a piegare la Spagna alle esigenze fiamminghe suscitando lo sdegno degli spagnoli che, per riconoscerlo, gli imposero, a salvaguardia dei beni della nazione, un lungo elenco di condizioni, tra cui il ritorno in Spagna di Ferdinando, almeno fino alla nascita dell’erede di Carlo ed una maggiore dignità per la regina Giovanna, il cui nome pretesero fosse scritto per primo nei documenti ufficiali.

Dopo qualche mese Carlo ed Eleonora tornarono a Tordesillas ed in quella occasione Carlo propose alla madre di portare con se, a Valladolid, la sorella minore Caterina per farla vivere nella vita di corte. Giovanna, che non si era mai separata dalla figlia minore, reagì con un netto rifiuto di cui Carlo non tenne conto ordinando di sottrarre subdolamente Caterina facendola passare, per eludere il controllo di Giovanna distolta con la somministrazione di sedativi, attraverso una porta che era stata costruita e camuffata con un arazzo. Allorché Giovanna si accorse della scomparsa della figlia cadde in un profondo e disperato dolore, una prostrazione psicofisica che la indusse a minacciare il suicidio. Ciò che indusse Carlo a riportare Caterina presso la madre che accolse il ritorno della figlia senza far pesare al figlio Carlo la maniera con cui le era stata sottratta.

Carlo si rendeva conto che la madre, pur se psicologicamente fragile ma perfettamente lucida, consapevole del suo stato e capace di intrattenere amabilmente rapporti con i visitatori a lei graditi e condurre con logica e proprietà conversazioni con i suoi confessori. Tuttavia il rapporto di lei con la religione da sempre tiepido si era ulteriormente raffreddato allorché per lungo tempo le era stato impedito di uscire dal castello per andare ad ascoltare messa nel convento di Santa Clara e per puntiglio rifiutò puntigliosamente di ascoltarla nella cappella del castello. Carlo temeva che il disimpegno della madre verso la religione, in netto contrasto con le tradizioni familiari, potesse ostacolare il suo rapporto con il clero e limitare gli appoggi che egli si aspettava dalla Chiesa ed ancor più paventava che una Giovanna libera potesse infiammare lo strisciante sentimento antifiammingo. Si aggiungeva poi l’apprensione per la diffidenza con cui i maggiorenti di Spagna, che riconoscevano Giovanna quale prima titolare della corona riservando a Carlo il ruolo di luogotenente, valutavano la sistemazione dei suoi collaboratori fiamminghi nei posti di responsabilità dell’amministrazione e la spoliazione dei beni che essi praticavano, tra cui le riserve auree provenienti dalle colonie e dirottate la via del Belgio. Abbastanza per far sì che Carlo si sentisse un re dimezzato. Egli pertanto, nell’aprile del 1518, decise di sostituire il permissivo e rispettoso governatore nominato da Cisneros, Hernan de Estrada, con il marchese di Denia a cui affidò un esiguo appannaggio per la gestione della madre e del personale di servitù (circa duecento persone) ed ordinò di limitare la libertà della regina in maniera che nulla trapelasse di quanto accadeva in quel castello. Denia  eseguì con puntiglio gli ordini ricevuti ed arrivò a privare Giovanna di ogni assistenza e, nel momento in cui si era gravemente ammalata, perfino di quella medica nel timore che potesse far trapelare la sua condizione. E quando Giovanna protestava, Denia, per non suscitarle animosità contro il figlio, attribuiva la responsabilità della sua condizione al padre Ferdinando, della cui morte ella non era stata ancora informata. Ugualmente le fu taciuta la morte del suocero Massimiliano I. Quando questa si verificò (19 gennaio 1519), Carlo, si recò in Austria per entrare in possesso a pieno titolo dell’eredità che riguardava le regioni asburgiche del nonno e le province borgognone della nonna Maria di Borgogna e per concorrere al titolo di imperatore ricevuto, come si è descritto precedentemente, nel giugno 1519.

 

Carlo, durante il suo soggiorno spagnolo, non era riuscito a vincere la diffidenza di castigliani ed aragonesi che, pressati dalle imposizioni fiscali e dal potere fiammingo, avviarono, nel gennaio 1520, una rivolta borghese (rivolta dei comuneros) che, con l’obiettivo di avere un maggior peso nella gestione dello Stato, era partita da Toledo e Segovia per diffondersi poi a Toro, Guadalajara, Madrid, Ávila, Soria, Burgos e Valladolid. Essa, guidata da Juan de Padilla e caratterizzata dall’ostilità verso un re estraneo alla cultura spagnola, promosse rivendicazioni di carattere economico-sociale, prese di mira gli amministratori fiamminghi, le sedi di governo ed il reggente Adriano di Utrecht che venne destituito e riconosciuta a Giovanna la sovranità. A tal fine i rivoltosi si impadronirono del castello di Tordesillas da dove cacciarono Denia e la servitù. Il castello riassunse l’aspetto di un palazzo regale con l’esposizione di tutti gli arredi che a Giovanna erano stati sottratti ed accantonati. Ella, che in quell’occasione apprese della morte del padre e di quanto era accaduto successivamente, manifestò il disappunto per essere stata segregata malgrado fosse una delle più importanti regine d’Europa. Ricevuta l’offerta di essere riconosciuta unica regina di Spagna se avesse approvato le finalità della rivolta, si dichiarò disponibile ad approvare tutto quanto le sembrava fosse rivolto al bene della Spagna. Appariva consapevole e serena e, persistendo le voci che la definivano incapace di intendere, furono chiamati i medici di corte per verificare il suo stato per eludere impedire che ogni atto da lei avvallato potesse risultare inficiato dal suo presunto stato di demenza. Gli stessi infiltrati di Carlo nel comitato di gestione della rivolta riferivano di una regina “ragionevole e di buon senso … ed in grado di regnare quanto sua madre Isabella”. Fatto è che Giovanna, malgrado avesse voluto al suo fianco una commissione permanente per poter valutare gli effetti di ogni decisione che avrebbe assunto, perfettamente a conoscenza delle norme procedurali, sollevava cavilli per ritardare ogni decisione, sentendosi perplessa ed incerta sulle effettive conseguenze che sarebbero ricadute sul figlio. Intanto la protesta aveva perso l’iniziale carattere antifiammingo per assumere una impronta antinobiliare alienandosi così il decisivo supporto della nobiltà, timorosa di una guerra civile che le avrebbe potuto far perdere i privilegi di cui ancora godeva. La fronda nobiliare  si saldò con i preparativi antirivoluzionari di Carlo che aveva inviato le sue truppe imperiali, comandate da Inigo Fernandes Velasco, ad assediare Tordesillas mentre i ribelli venivano sbaragliati a Villalal prima ed a Toledo poi. Nel 1522 la rivolta fu sedata con l’uccisione di circa tredicimila rivoltosi, compreso il loro capo Padilla.

Pur se il successo non fu determinante per accrescere la credibilità di Carlo, certo rafforzò la sua posizione. La considerazione, poi, che “sarebbe una gran disgrazia per la Spagna se vi fossero due sovrani” fu la premessa per una nuova emarginazione di Giovanna di nuovo costretta dentro il castello di Tordesillas ed riaffidata al carceriere Denia. Questi, livido per le vessazioni subite durante la rivolta, allontanò tutti coloro che avevano qualche rapporto con lei e la costrinse in una camera illuminata da candele dove il cibo le veniva lasciato davanti alla porta. La figlia Caterina aveva tentato di far pervenire al fratello un messaggio in cui denunciava le condizioni in cui era costretta la madre ma questo fu intercettato da Adriano di Utrecht.

Era il 1522 e Giovanna, all’età di quarantatre anni, veniva definitivamente segregata dentro le mura del castello di Tordesillas.

 

Da allora, Carlo si recò più volte a visitare la madre dovendo assolvere a necessarie operazioni come sottrarle gioielli appartenenti alla corona, organizzare il trasferimento della salma di Filippo il “Bello” a Granada, comunicarle che la figlia più giovane, Caterina, era stata promessa a Giovanni III re del Portogallo succeduto al padre Manuele I nel 1522, farle firmare importanti atti di governo che sarebbero stati validati solo con la sua firma.

Caterina partì per il Portogallo nel 1525, lasciando la madre singhiozzante.

Nel 1526 Carlo andò a trovare Giovanna per farle conoscere la moglie, Isabella di Portogallo (figlia di Emanuele I e di Maria d’Aragona, sorella di Giovanna e sorella di Giovanni III). Da matrimonio nacquero Filippo II di Spagna (1527), Maria (1528, sposa dell’imperatore SRI Massimiliano II), Ferdinando (1530), Giovanna (1537, sposa di Giovanni Emanuele del Portogallo) e Giovanni (1539). Giovanni d’Austria, comandante della flotta che sconfisse i Turchi a Lepanto (1571) era illegittimo.

 

Dal punto di vista politico Carlo V non conseguì rilevanti successi, condizionato da altrettante forti realtà come il Regno di Francia e l’Impero Ottomano, contro cui combatté per difendere Vienna assediata (1529) e le rotte commerciali tra la Spagna ed i possedimenti Italiani di Napoli e Sicilia. Perseguì il sogno di un’autorità monarchica attraverso la realizzazione di una Repubblica Cristiana, guidato dagli Asburgo e costituita dagli Stati d’Europa in lotta contro l’Islam, progetto fallito per l’affermarsi della riforma protestante e per l’opposizione di Francesco I di Francia contro cui combatte sanguinose guerre per il possesso del Ducato di Milano, indispensabile per raggiungere l’Austria dalla Spagna senza passare dalla Francia. Dovette contrastare il tentativo di conquistare il Regno di Napoli (1552) da parte della Francia di Enrico II, sorretto dai Turchi, in questo favorito dal mancato congiungimento delle flotte francese e turca e malgrado una sconfitta subita a Ponza.

Nel 1553 Carlo, benché ancora giovane ma fisicamente prostrato dalle lotte condotte, deluso per aver fallito il suo obiettivo dell’istituzione di un impero universale e per non aver impedito l’affermazione della dottrina luterana, maturò la decisione (imposta dai principi tedeschi che volevano la separazione dell’Impero dalla Spagna) di dividere i suoi domini tra il figlio maggiore Filippo II, a cui destinò quelli spagnoli ed il fratello Ferdinando I, cui destinò quelli asburgici, lasciando loro il gravoso compito del risanamento di una decadente situazione economica prodotta dalle guerre sostenute. Dopo aver abdicato, nel 1556 Carlo, seguito dalle sorelle Eleonora e Maria, benché ancora schiavo dei sensi e di una smodata voracità, decise di ritirarsi nel monastero gerolimitano di Yuste, in Estremadura, per vivere separato dalla moglie in povertà ed esprimere la sua morbosa religiosità.

 

Ferdinando I d’Asburgo d’Austria (1503-1564) sposò Anna Jagellone, figlia del re d’Ungheria Leopoldo II, da cui ebbe quindici figli. Governò direttamente nel periodo 1556-1564 quando già esercitava con competenza il potere sui domini asburgici essendo riuscito ad ottenere la pacificazione religiosa della Germania con la pace di Augusta. Questa riconosceva ufficialmente la Dottrina luterana con il principio che i sudditi di una regione dovevano professare la religione scelta dal loro reggente (cuius regio, eius religio). Ricevuti i domini austriaci, acquisì la corona imperiale (1558) perpetuando il ramo austriaco degli Asburgo.

 

 

Ferdinando I SRI

 

Filippo II d’Asburgo di Spagna (1527-1598) sposò (1543) Maria Emanuela di Portogallo, figlia di Giovanni III e Caterina (ultima figlia di Giovanna). Ebbe altre tre mogli a cui sopravvisse: nel 1554 sposò la cugina Maria Tudor “la Cattolica” (figlia di Enrico VIII e della zia Caterina d’Aragona) che viene ricordata per aver riacceso i roghi dell’Inquisizione con la promulgazione di spietate leggi contro eretici e protestanti; nel 1559 sposò Elisabetta di Valois e, nel 1570, la nipote Anna d’Austria, figlia della sorella Maria. Ricevette in eredità, tra il 1554 ed il 1556, la corona di Spagna con i domini d’oltremare, il Ducato di Milano, le province dei Paesi Bassi, il Regno di Napoli, il Regno di Sicilia e la di Sardegna. Diede origine al ramo spagnolo degli Asburgo che governò la Spagna con i successori Filippo III, Filippo IV e Carlo II, alla cui morte (1700) la dinastia si spense per mancanza di eredi. Subentrò Filippo V, nipote di Luigi XIV di Francia, e quindi del ramo Borbone che diede avvio, con il figlio Carlo di Borbone (poi Carlo III di Spagna) alla dinastia Borbone di Napoli. 

 

Filippo II

 

 

 

g.   La triste fine di Giovanna

Giovanna era stata affidata alle scarse cure di una dozzina di dame di corte le quali, avendo talvolta occasione di uscire dal castello, furono emarginate dall’amministratore Denia deciso a non lasciar trapelare alcunché di quanto accadeva nel palazzo di Tordesillas, nessuno dei cui abitanti credeva alla malattia mentale della regina. Soprattutto premeva che non fosse divulgato il rifiuto di Giovanna a confessarsi (“che peccati volete che abbia commesso, sono soltanto una povera donna che soffre!”) e di ricevere i sacramenti. Rivelazione che terrorizzava Carlo al pensiero che essa potesse giungere alle corti d’Europa o alle orecchie dei giudici dell’Inquisizione. E per tale motivo egli aveva progettato di esiliare la madre in un posto ancor più isolato ma ella si era rifiutata di muoversi intendendo lasciare Tordesillas “da libera o da morta”. Le venivano concessi solo brevi incontri ufficiali in cui non faceva altro che lamentarsi di non essere informata di quanto accadeva nei suoi regni e le veniva negata la possibilità di incontrare i personaggi più influenti del regno, nella preoccupazione che gli accorati ed appassionati discorsi di Giovanna potessero estendere il diffuso sentimento di compassione nei suoi confronti. Ella reagiva a tali limitazioni con manifestazioni di collera contro il Denia che la puniva facendola chiudere in un angusto ambiente, umido e buio, dove rifiutava cibi e cambi di biancheria.

Il nipote Filippo II, nel 1543 andò a farle visita per presentarle la giovane sposa Maria Emanuela, figlia di Caterina e quindi nipote di Giovanna. Si organizzò in loro onore una festa e Giovanna, benché afflitta da molti malanni e trascinandosi stancamente, volle danzare con loro. Una breve parentesi di libertà perché rare erano le volte in cui aveva la forza di recarsi fino al monastero delle Clarisse accompagnata da Luis Denia, subentrato nella funzione del padre, alla morte di questi e più generoso verso Giovanna. Filippo II, rimasto sensibilizzato dalle condizioni della nonna, le mise accanto, per la cura del corpo e dello spirito, un esperto medico, il dottor Santa Cara ed il gesuita, padre Francesco Borgia. Questi si sistemò nei pressi del castello e cercò in ogni modo, anche con l’esorcismo, di avvicinare ai sacramenti una donna ormai in preda al delirio ed al rimpianto dei due figli Ferdinando e Caterina che, nati in Spagna, le erano rimasti accanto per più lungo tempo. Giovanna trascorse gli ultimi anni della sua vita quasi sempre a letto afflitta dai dolori e dalle molestie degli infermi.

Dopo aver rifiutato per l’ennesima volta la confessione, Giovanna regina di Castiglia e di Leon, di Galizia, di Granada ecc., regina di Aragona e dell’Alta Navarra, di Napoli e di Sicilia, principessa delle Fiandre e d’Austria, arciduchessa di Borgogna, passata alla storia con il soprannome di “Pazza”, morì il 12 aprile 1555 vittima, nel suo amaro destino, più dell’avidità di potere che dalla ragion di stato. Il suo corpo fu imbalsamato e sontuosamente esposto.

Aveva 75 anni di cui quarantasei trascorsi da prigioniera nel castello fortezza di Tordesillas. Tutti i suoi discendenti, sparsi per l’Europa, si riunirono per un solenne funerale in Belgio. La sua salma fu trasportata a Granada e tumulata accanto a quella del marito e dei genitori.

Giovanna, nella Spagna bigotta del suo tempo, aveva manifestato fin da giovane anticonformismo religioso e ripulsa dei metodi dell’Inquisizione, motivo per cui era stata costretta a flagellarsi e fare emergere una fragilità che le successive avverse vicende avevano inquietantemente potenziato fino a farla divenire una tragica vittima. Il suo presunto stato patologico, demenza, mai compiutamente accertato da alcun collegio medico né cronisti del tempo, fu comunque ed opportunamente enfatizzato ed utilizzato dal marito, dal padre e dal figlio per soli fini di potere dinastico. Ma quanto fu autentica follia e quanto scandalosa  e violenta sopraffazione è rimasto alle valutazioni della storia.

 

Sei mesi dopo la morte di Giovanna morì il figlio Carlo (21 settembre 1558), sofferente di epilessia, di gotta, di attacchi d’asma e di altri disturbi. La decisione di abdicare aveva sorpreso tutte le corti d’Europa al punto che si diffusero dubbi sulle sua capacità mentali. Si ritenne che il germe della demenza alimentasse la sua stirpe. Ed esso si manifestò clamorosamente in due discendenti, di nome Carlo. Il primo fu il figlio maggiore di Filippo II nato dall’unione con la cugina Caterina. Egli era deforme ed insano e reagiva alle avversità con manifestazioni caratterizzati da estrema violenza; morì a ventitre anni. L’altro Carlo è l’ultimo discendente degli Asburgo sul trono di Spagna, Carlo II, nato dal matrimonio del padre Filippo IV con Marianna d’Austria, la figlia della sorella Anna Maria di Spagna. Carlo II era inabile fisicamente ed intellettualmente, effetto di tare familiari trasmesse e potenziate dalle molte unioni fra consanguinei. 

 

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Riferimenti bibliografici

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